BAD
BOY BEBO
Ribelle Urbano
AMORE LIBERO IN LIBERO STATO
Il campeggio non terrà più di trenta tende, otto roulotte,
due bungalow. Accampamento di fortuna o meta di famiglia come una roulotte
sempre parcheggiata nello stesso luogo e non disposta a cedere nessun comfort:
frigorifero esterno, tivvù con Bonolis, Conti e Amadeus. Un parcheggio-rimessaggio
che d’estate si mette su a mo’ di villaggio al mare, chiedendo
in cambio di meno soldi svantaggi: i cessi, le docce, la lavapiatti (a mano),
la lavatrice (a mano). Tutto in comune. Uno scambio: io ti do il mare se
tu mi dai la tua capacità di arrangiarti e di tornare selvaggio,
essere uno di tanti. Ma lo scambio non è doloroso perché chi
è qui è come se dicesse che un po’ selvaggio lo è,
e gli altri, be’ gli altri non sono un problema... Ma c’è
chi ha la mania delle disposizioni perfette (“in campeggio per prima
cosa bisogna essere puliti e ordinati”). Coppie giovani di fidanzati
si passano con delicatezza gli oggetti – uno fuori e l’altra
dentro la tenda. La ragazza pretende ma senza per questo attivare rancori,
dispetti. E’ acclarato che lei guida tutte le operazioni di costruzione
e distruzione. Lei architetto o geometra, lui manovale. Poi fanno l’amore
ma senza suoni e senza movimenti. Da fermo. Non si sa se finiscono presto,
perché non si sa neanche se iniziano, ma comunque si rilassano e
continuano a darsi ordini e ad eseguire compiti. Come prima, rasserenati.
Questa è l’estate di Pera, di Pecorella e di Trapattoni. Un’estate
tranquilla perciò: senza avvisi di garanzia, senza contrasto tra
le parti. Il Cinese si fa una piazza dietro l’altra, inseguito o preceduto
da dinieghi, tavole rotonde, discussioni. “Si candiderà?”
No. Questo ha capito tutto, altro che Totò, convinto (a bossoli?)
nel suo “passo dopo passo”, a farne uno corto alla Regione.
E’ l’estate di Asereje e di ti vorrei ti vorrei.
L’eliminazione ai mondiali è solo una prova che tutti ce la
hanno con noi (ancora una riprova dell’italicissimo mammismo): un
complotto internazionale, insomma. L’Italia che qualcuno ha in mente
si farà rispettare planetariamente, cioè avrà una sua
politica estera molto indipendente e sicura di sé che saprà
esprimere il suo appoggio alla Palestina, checché ne pensino gli
americani (“non gli americani: la nostra non è una presa di
posizioni ideologica!”), che stigmatizzerà i turchi, checché
ne pensi Agnelli. Un’Italia senza avvisi di garanzia, senza magistratura,
senza serieA a gratis, senza un fisco-ghigliottina che magari uno ha 2mila
miliardi di euro e arriva lo Stato che ti dice che tu ne devi dare di tasse
chissà quanto. Insomma sarà un’Italia per gli italiani,
per i cittadini. Un’Italia dove puoi andare a fare la spesa col portamonete
invece che col portafogli: è per questo che abbiamo introdotto l’euro
perché il pane, il latte si possano pagare con il metallo spiccio.
Insomma un’Italia del baratto alla fine e comunque un’Italia
meno cara, fateci caso!
In treno ho letto “Domani nella battaglia pensa a me” di Javier
Marìas che mi è piaciuto tantissimo fino a pagina 80 poi meno,
poi ancora. Sul traghetto leggo “Dance dance dance” di Haruki
Murakami e mi coinvolge tanto da levarmi il sonno, per paura di finirlo
lo leggo a gocce ma senza smettere come se avessi trovato una zona di parole
in cui vado avanti come in una esatta corrispondenza tra le vicende scritte
e l’esperienza mentale che esse procurano. Non mi succedeva dai libri
di Jean Claude Izzo (“Casino totale”e “Chourmo”
soprattutto). L’Avvocato me lo dice sempre (“senza la bellezza
letteraria non si possono fare rivoluzioni” “senza amore non
si possono fare rivoluzioni”) ed è bello sentire un pensatore
politico che non parla solo di sistemi massimi e di obiettivi minimi.
La gente guarda la scia della nave e fissa la terra che si allontana, lunga,
ombrata di foschia. Si attesta sulle panchine di ferro bianco in un’attesa
a tempo (si sa sempre quando la nave arriverà). Qualcuno di tanto
in tanto si alza come per verificare i tempi intermedi di crociera e fissa
nell’altra direzione il configurarsi di una sagoma corta e in su,
il profilo dell’isola. Poi si risiede. I gruppi hanno l’attitudine
a più spostamenti con il tacito assenso ad una rotazione di guardiani
dei bagagli. I singoli se ne stanno attaccati agli zaini e alle borse (le
valigie non fanno parte del kit dei visitatori di isole) come se temessero
il mare mosso e lo scivolamento della loro roba.
G. all’arrivo del traghetto è sorridente, dimagrita, già
abbronzata (un po’).
Ci siamo conosciuti un anno fa esatto, su una spiaggia, in Toscana. Abbiamo
in comune 4 ore di mare alla Feniglia e 4 ore di sera (ristorante “I
pescatori” a Orbetello) passate con amici. Quindi ci conosciamo poco
o niente. Lei è di Bologna. Ci siamo tenuti in contatto (poco) con
gli SMS poi io ho lasciato due telefonini sotto le ruote degli autobus e
fino a nuovo messaggio ho perso contatto. Tra stupefazione e novità
mettiamo in comune una tenda e la voglia di fare vacanza selvaggia ed economica.
Al campeggio la tenda è già pronta (G. è lì
già da ieri). Mettiamo su un po’ di acqua in un pentolino.
Gli spaghetti c’entrano ma solo se spezzati in tre parti. Mentre il
fornelletto a gas manda luce celeste dal celeste della bombola parliamo.
L’amore non è riproduttivo ma la riproduzione può essere
amorosa (per nulla ecclesiale!). E’ strano sentire da una voce diversa
dalla tua le stesse cose che pensi. Dice che l’amore non ha un inizio
ed una fine, cioè li ha ma non consapevoli. Invece si può
segnare un inizio e circoscriverlo all’atto amoroso… Mi chiede
se ho letto “Piattaforma nel centro del mondo” di Michel Houellebecq.
Le dico di no (ne ho letti altri suoi ma non lo dico come per obbligarmi
a rispondere preciso a domanda precisa). Lei lo ha finito da poco, lo va
a prendere dentro la tenda. Legge un passo che ha sottolineato con un pennarello
viola. “Se gli occidentali non riescono più ad andare a letto
fra loro, una ragione dev’esserci per forza; ma non ha nessuna importanza
che sia il narcisismo, o il culto dell’individualità, o quella
della prestazione, o chissà quale altra fesseria. Quello che importa
è che, a partire dai venticinque-trent’anni, la gente ha enormi
difficoltà a fare nuovi incontri sessuali; e tuttavia continua a
sentirne il bisogno, un bisogno che peraltro diminuisce molto lentamente,
e molto tardi. E’ così, per trent’anni della loro vita,
cioè per la quasi totalità dell’età adulta, vivono
in un costante stato di carenza.”
Mi piace perché è un sesso programmatico… è la
liberazione sessuale nell’era del welfare e del superamento dell’assistenzialismo
statale, la corrispondenza in amore della ritrattazione del pensiero unico
del matrimonio come investimento sicuro, a tasso fisso.
G. dice che anche lei la pensa così. Le piace anche il mio uso di
amore e sesso come sinonimi. Non bisogna più avere paura di fare
confusioni: esiste una scala di valori. Chiamiamo MASSIMO BENE un vertice
della freccia-vettore. L’altro è il MASSIMO MALE. Ad un capo
e all’altro della linea poniamo solo la soddisfazione o l’insoddisfazione.
La disposizione dei valori è qualitativa.
“E’ impossibile fare l’amore senza un certo abbandono,
senza l’accettazione quantomeno temporanea di una condizione di dipendenza
e di soggezione. Esaltazione sentimentale e ossessione sessuale hanno un’origine
comune, derivano entrambe da un parziale oblio del proprio ego; è
un campo nel quale è difficile realizzarsi senza perdersi”
leggeva ancora Michel Houellebecq.
I vertici dei vettori tengono sentimenti diversi, non li incasellano, non
fanno gruppi, insiemistica. Non bisogna più ragionare per insiemi
ma per reti. Con ciò non sparisce la differenziazione quantitativa
ma si pone solo nell’ottica di un superamento di certezze coefficienti.
In altre parole l’attribuzione di un valore-numero non serve per separare
generi, insiemi, ma per distinguerli sul vettore. Da questa chiarezza distributiva
non può che derivarne una grande libertà di gamma. E di conseguenza
una pace interna che nasce dalla semplificazione del sistema. E’ come
una grande scoperta scientifica che svela opportunità inespresse.
Dopo cena abbiamo camminato nel vuoto roccioso dell’isola. La spossatezza
della salita, l’ebbrezza del vino bevuto (per quanto poco), il buio
avevano imposto un fermo al nostro teorizzare discettando del vettore. Privati
così della matrice, della grana teorica, del disegno interno abbiamo
fatto passi senza pensieri e poi siamo confluiti in un abbraccio e in un
bacio. Il bacio poi è diventato mani sul corpo, ritorno silenzioso
alla tenda e … L’atto dovuto e desiderato, il naturale comporsi
di un’atmosfera di desideri comuni. Ma nonostante le teorie era come
se le parole tenessero in piedi la configurazione, come se si penetrassero
schede di dati e non persone. Forse come dice quello scrittore francese
c’è solo bisogno di “un parziale oblio del proprio ego”.
Forse, per altro verso, l’invenzione del turpiloquio in amore nasce
proprio dalla ricerca dell’immediato annullamento di qualsiasi imbarazzo,
la cancellazione istantanea della rete dei chip, un fatto pratico quindi,
che configuri subito il passaggio da un desiderio alla sua concretizzazione.
E’ vero: un espediente! Ma pur sempre un modo di provare a distanziarsi
dal nulla del prima e dal nulla del dopo. Una via per lasciare il proprio
io-persona ed entrare in un noi-corpo di cui si è attori senza pregiudizi
o imbarazzi, senza un po’ di ego, appunto.
Il liberarsi dell’endorfina? La ripetizione di uno sciamanico viaggio
dentro sé e dentro un altro, una compenetrazione di energie? Ogni
possibile spiegazione dell’esperienza amorosa sessuale ci lascia attoniti,
insoddisfatti. Non smetteremo mai di cercare di capire, di cercare comunque.
G. ha dichiarato la sua insoddisfazione: non temporale, non ginnica. Dice
che c’è un amore che è tipico delle donne sposate in
cerca di un’avventura-cataratta che oblii il ricordo di una sé
coniugata in un presente di io-libero. Il corpo chiede di essere posseduto
e scavato come una roccia da definire nel grezzo. Io no, ha detto. Non ho
bisogno di essere definita a partire da un materiale senza forma.
Tra capire e non capire c’è una strada. Impervia ma per nascondimento.
Una strada in realtà semplice, lineare, che si avvantaggia dell’equidistanza
delle due estreme sicurezze, apparentemente meno difficoltose da percorrere
come superstrade in via di ultimazione che si interrompono in una serie
di cartelli che avvisano sterrato e ghiaia.
Tra capire e non capire c’è ascoltare. Essere solo orecchie
che catturano e tengono un disagio. Così ho fatto vuoto di certezze
e ho ascoltato G. cercando dare in cambio invece di pretendere per. Il risultato
è stato percepirsi nella libertà di un abbandono che non chiedeva
sconti, né si avvantaggiava in pretese. Era libertà pura di
provare sensazioni che attingessero alla materia corporea per liberare energie
spirituali, declassificate, affrancate, scevre dall’adesione di un
pattuito perdersi come di un fortuito sfruttamento. Era libertà.
Fotografia Boselli
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