Questo grande grande amore
"Quando avevo la tua età, mio nonno mi comprò un braccialetto di rubini. Era troppo grande per me, e mi scivolava su e giù per il braccio. Sembrava una collana. In seguito mi disse che aveva chiesto lui al gioielliere di farlo così. Quella grandezza doveva essere il simbolo del suo amore. Più rubini, più amore. Ma non andava bene. Non me lo potevo mettere."
Leggo Jonathan Safran Foer. Molto forte, incredibilmente vicino. E mi tornano in mente i vestiti buoni. Quelli troppo belli per essere indossati fuori. Quelli troppo speciali per le occasioni comuni, che finivano per essere il tema di una sfilata domestica. Ora è estate e - si capisce - anni fa tutto questo era spazio di piccole fughe a volte solo mentali per improbabilità di uscite. Ecco: è come se stessi leggendo (il libro è) l'estate del non uscire, del non potere uscire. Quel caldo schermato, la televisione accesa e poi spenta, il libro aperto e poi chiuso. La spesa con la mamma. E poi un disargine fatto di calore, sudore e tempo dilatato, tempo da riempire e occupare. Che poi alle volte è vero che il troppo amore, come un vestito troppo buono, va bene solo per la domesticità. Non può essere socializzato, indossato all'aperto. E non è solo il timore di vederlo sporcato, la paura che l'aria lo consumi, che gli sguardi altrui logorino i suoi tessuti. Più è largo e più non si mette. Ché poi si perde, se no.
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