Beppe Salvia da Braci (una preghiera triste)
Di Carvelli (del 05/10/2006 @ 15:15:00, in diario, linkato 1724 volte)
A scrivere ho imparato dagli amici, ma senza di loro. Tu m'hai insegnato a amare, ma senza di te. La vita con il suo dolore m'insegna a vivere, ma quasi senza vita, e a lavorare, ma sempre senza lavoro. Allora, allora io ho imparato a piangere, ma senza lacrime, a sognare, ma non vedo in sogno che figure inumane. Non ha più limite la mia pazienza. Non ho paziena più per niente, niente più rimane della nostra fortuna. Anche a odiare ho dovuto imparare e dagli amici e da te e dalla vita intera.
Questa poesia (dalla sezione CUORE) è di Beppe Salvia (nella foto). Questa poesia viene da un quadernetto spillato grigio chiaro dal titolo BRACI. Una piccola rivista dalla coperta più dura e due foglie a lato. Inverno millenovecentottantaquattro Numero 0. Nella IV l'indicazione di prezzo Lire 4.000. Che facevo nel 1984? Che inverno era? Mentre io non ricordo il mio nulla di notevole un piccolo manipolo (oltre a Salvia, Arnaldo Colasanti, Claudio Damiani, Marco Lodoli, Giuseppe Salvatori e Gino Scartaghiande) metteva su questo piccolo prezioso libretto che ora impreziosisce con questa preghiera triste la mia giornata - forse un po' triste anche lei - e la mia biblioteca (non così triste poi). Ecco. E' un po' così: poche persone o una sola che fanno delle cose buone (e sagge e confortanti) o una sola per qualcuno o uno. Uno solo. Per un giorno che non è detto che sia oggi. O domani. Anche questa può essere una definizione della poesia. E della letteratura.
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