Ancora Landolfi da Rien va
Che scrive: "Scopo ultimo dell'azione spirituale è non può non essere una realtà materiale, qualcosa di palpabile e apprezzabile da tutti, un oggetto insomma nella sua accezione più modesta e concreta, o un ordine forzato di fenomeni". E prosegue Tommaso Landolfi ed è tutto da leggere. Sequenza 30 della prima serie dei numeri di questo diario, pagina 72 nella mia edizione (un rizzoli 1984 dalla copertina giallina molto music-hall che, come accade ai libri un po' datati sa di zucchero a velo). Dicevo, Landolfi rincara e arriva persino a svelare la necessità di una relazione forte, un matrimonio più certo tra scienza e spirito e lo trova nell'alchimia, la scienza più spirituale che si ricordi. ma al presente o ripensato al Tao di Capra o a certi nessi della neurobiologia. Provoca (ma bonariamente, filosoficamente) e arriva a dire (o lo interpreto io) che persino i miracoli altro non sarebbero che il nesso realizzato di realtà e spirito, scienza e spirito. E il volerli attribuire all'esterno (esaltandone i facitori o magnificando un sistema di trasmissione di quella spiritualità) non fa altro che svilirne il peso, la forza. E rincaro io: come a dire che i miracoli funzionano solo se c'è chi li sa fare e non se uno impara come farli, crede nel poterli fare. Ecco ma chi è che scrive e chi è che legge? E' ancora Landolfi che dice o sono io che penso? Tragica transustanziazione della lettura.
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