Uccidere per vivere
Di Carvelli (del 20/11/2006 @ 08:33:11, in diario, linkato 1204 volte)
Credevo che i termini della questione fossero tutti lì. La morte. Credevo che la morte fosse, appunto, il termine della questione nel senso doppio della fine stessa e della spiegazione della fine. E, in effetti, non sbagliavo. Non credo che sbagliassi. Ma non bastava. Qualcosa mi diceva che non bastava, che c'era altro. Dopo, ho pensato che si muore anche quando si è distratti dalla vita, quando non si ha abbastanza attenzione alla vita. Successivamente che si muore quando non si uccide qualcosa o qualcuno che ci uccide anche lentamente o che ci distrae dalla vita, dalla miglior vita. E, per esempio, che muore Mario se non uccide la faciloneria, Cristina se non elimina la paura, Rita se non uccide la madre (non in senso letterale, no, per carità!), Luca se non elimina (almeno in parte) i suoi soldi (non nel senso di spenderli: già lo fa e non sarebbe un vero eliminarli) Pietro se non fa fuori l'arroganza, Roma se non elimina il traffico, l'occidente se non fa fuori la guerra e prima ancora l'interesse, il bisogno di dominio, il senso di superiorità, le religioni se non cancellano il loro assolutismo, il pianeta se non uccide l'inquinamento...e così continuando. Insomma, ognuno deve uccidere qualcosa o qualcuno per continuare a vivere o solo per vivere veramente bene che è lo stesso. Questo pensiero mi lascia un po' sospeso, mi dà serenità ma un po' mi fa soffrire e - penso - mi uccide. Ma non è così - penso poi - è la paura di non farcela (ad eliminare quello che ci fa soffrire) che mi uccide e decido di farla fuori.
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