E' sempre confortevole e non so perché sentire parlare di Raymond Carver, della sua vita delle sue case, delle sue auto, della sua fine. Della sua lotta per una vita dignitosa, della sua guerra per avere una vita normale, del suo corpo a corpo con le parole e con i libri (resistere e scrivere e avere l'angoscia di dover tirare avanti), della sua storta spiritualità, della sua tranquillità, dell'ironia che talvolta trapela nel dolore di esistere. E anche questo sì: che il dolore di esistere sembra prorio essere la gioia di esistere (e succede solo in certe vite di santi troppo spesso agiografiche e troppo spesso alte). E mi viene da pensare che c'è una specie di santità nell'essere chiunque, anzi - se possibile - un po' meno di chiunque.
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