Mi piace leggere i libri ma più che mi piace alla fine li leggo proprio così...come un setaccio. Me li faccio passare dentro e li faccio uscire. E vedo quello che esce. E se esce soprattutto. E cosa rimane alla setacciatura della griglia della mia attenzione, del mio gusto. Ascolto cosa resta e il libro resta. Passa al passino questo libro di Vincenzo Pardini. Non scivola. Rimane. Sono così i libri, i libri che restano, quelli che ti lasciano addosso una patina. Una patina anche ruvida. E' proprio vero - dico con Pardini - che col teschio in mano andrebbe pronunciato un dilemma sul nostro essere selvatici o... O? Quale è il termine dell'antitesi? Di certo leggo Tra uomini e lupi (pequod) - racconti di scuola in cui ritrovo il Pardini che lessi e apprezzai ai suoi esordi in Theoria - e mi risuona il campanello del mio lato selvatico. Che non è un momento tra tanti, un intervallo tra tanta urbanità un po' carina e rispettosa, un po' laccata (qualcuno direbbe friendly). C'è qualcosa a cui dare un suo spazio. C'è qualcosa che si prende il suo spazio. Nonostante noi.
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