Un lago, un drago
Di Carvelli (del 24/07/2007 @ 14:17:43, in diario, linkato 1307 volte)
Questo testo (che è però forse poco comprensibile senza le foto che documentano il percorso) era stato (scritto per essere) incluso nel catalogo brochure della mostra di Campagna Romana. Il lago era quello di Bracciano, il drago era quello di una performance d'artista. La passeggiata era organizzata con gli stalker.
Un lago, un drago
di Roberto Carvelli
Abbiamo circumnavigato un lago. Una rotazione, un cerchio e poi la discesa verso Roma. Il nostro è stato un percorso circolare prima che una freccia puntata. Quindi, prima che un andare verso un andare intorno. E questo diversivo, il fare un tondo, il girare su noi stessi attorno a un vuoto-pieno, ci ha suggerito una piccola magia. Il lago aveva un castello, un principe e dei servi ossequiosi: il pescatore deferente e intimorito, il pastore che anima la leggenda con la chiacchiera licenziosa o il racconto di gesta folli. E con loro il borghese che le trasforma nell’amaro resoconto di un ritardo storico- economico del suo paese. La magia è continuata per via e contro ogni scetticismo: se c’era un principe c’era pure un rospo anche se era schiacciato e ai bordi di una strada. Se c’era un lago c’era un drago pure se di latta in una performance d’artista su bicicletta. Non era favola trasognata quella che incontravamo ma lo schiaffo continuo di un contrario. Se c’era il bene c’era pure il male: l’acqua preziosa e incanalata con architettura imperitura e quella consumata in uno scorrere inutile o inquinato, ville inopportunamente sfarzose e grotte-bidonvilles scavate nel tufo per il primo ricovero di poveri non di solo spirito. C’erano anche un Ovest e un Est a due passi l’uno dall’altro: gli United States of Le Rughe e l’USSR del lido degli Slavi. Due vie al capitalismo: uno da potenza mondiale che ne gode gli esiti e l’altro di chi lo officia col sudore. Da una parte riviste patinate che incitavano all’equitazione e alla boutique, dall’altra costumi fuori moda e capelli schiariti all’inverosimile con fisici temprati dal lavoro di cantiere o di assistenza-anziani abbandonati alla stanchezza dell’arenile umile. La massima sulla storia che si ripete in tragedia e farsa vale pure per la fiaba. L’andare verso Roma ci ha insegnato come sia l’horror vacui il segno dell’architettura di prossimità: riempire ogni interstizio, pianificare l’occupazione del suolo, far saltare tritolo per creare una discarica e a due passi tirare su una estancia non da gauchos ma da nababbi. Costruire comunque e piuttosto abbandonare come un credo e un dovere per chi come noi sta marciando verso Roma ma a cemento armato.
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