Aggiungo Non è un paese per vecchi (dalla felice penna, camera ecc dei Coen) alla mia lista di gioia cinefila. Una stagione felice. Che continua. Almeno tre - ora quattro - buoni motivi per essere stati felici in una stanza buia (comoda, scomoda, comoda e comodissima). La stanza buia=il cinema. Mi ha sempre entusiasmato l'abilità di quei registi capaci di passare da ritmi veloci a ritmi lenti (e ritorno) senza far sentire le scosse di assestamento. Mi viene da pensare che le scosse le abbiano riconosciute e attutite prima, creativamente, in fase di progettazione. E mi sembra davvero uno dei grandi (e più miracolosi) artifici della creazione. Una vittoria sulle regole aristoteliche. Una vittoria sulla facilità con cui dovrebbero procedere le storie ma anche una concretizzazione (a volte della metafisica) della verità oggettiva e soggettiva (la nostra percezione) del tempo. Una corsa, una fuga, un dum dum dum dum e poi...tutto rallenta. L'immagine che fissa la fine (e quella dell'epilogo, della morale, lo spazio antico del coro greco che riassume per parabola il senso della storia fin lì espressa) è lenta e quasi insufficiente a rendere la definitività, la conclusività. Come a dire che tutto finisce nella fine. Quasi dimenticando l'affanno dell'inizio e del prima. Tutto è destinato a concludersi in una messa in pensione del nostro agire, del nostro cercare, del nostro (s)fuggire la morte, il dopo che non sappiamo. Non è un paese per vecchi è tratto da Cormac McCarthy, libro omonimo (non letto). Per quel che ho visto in questa buia e comodissima stanza avrebbe potutto titolarsi "questo è un paese per morti" (o per morituri). Tutti i paesi lo sono e i motivi sono i più vari. L'idea (l'idea mia) è che i paesi per vivi (quelli per vivi davvero) siano i paesi per persone consapevoli della morte. Solo così un paese può essere un paese per vecchi.
|