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Corrispondenze da Snova
Di Carvelli (del 19/03/2008 @ 16:16:26, in diario, linkato 827 volte)

Segnalovi un sito www.corrispondenzedasnova.it e in esso e da esso una lettera-risposta di Tiziano Scarpa al fondatore di suddetto sito. Vale la pena leggervi in giro un po' di materiali postali. Bella idea e manifesto, bella la grafica. Intanto Scarpa. Ecco a voi.

risposta di Tiziano Scarpa

Caro Massimiliano Borelli,

perdonami se ti do del tu, lo faccio per praticità e chiarezza discorsiva. Ho ricevuto la tua raccomandata. Hai letto il mio intervento, e sei rimasto deluso dal finale, dove ti sembro poco radicale, troppo concessivo. Secondo te dovrei dire senza ambiguità che certi prodotti di mercato fanno schifo, e che la via per creare opere interessanti sta sicuramente altrove rispetto a quelli che ho definito “romanzi d’eccellenza” (però nel corso della tua lettera cambi stranamente la dicitura, da “romanzi di eccellenza” passi a chiamarli “romanzi d’eccezione”).

Non starò a ripetere ciò che penso. Il mio intervento lo spiega a sufficienza, e dall’accuratezza con cui l’hai riassunto dimostri di averlo compreso benissimo e di non avere alcun bisogno di precisazioni.

La seconda parte della tua lettera invece mi sprona a “riaprire il dibattito sui modi del fare letteratura” (e anche in altri territori che nomini: “poesia, teatro, arte, cinema”). Ti sembrerò presuntuoso, ma mi sembra di non aver fatto altro, con molti dei miei articoli, interventi su giornali, riviste cartacee e in rete, libri di riflessione teorica e critica militante, da quasi vent’anni a questa parte. “In vista di un’ipotesi positiva di progettazione della scrittura”, dici (il corsivo è mio); anche in questo caso ti rispondo con non poca presunzione: in tutti questi anni mi sembra di non avere soltanto progettato, ma anche realizzato. Certo, se ti basi soltanto su quel mio articolo, lo troverai manchevole e superficiale.

Ma non voglio rimandarti alla mia bibliografia. Raccolgo la sfida, ti rispondo come se io cominciassi a scrivere oggi e non avessi alle spalle nient’altro che l’articolo che tu commenti.

Ho un’idea individualistica della letteratura.

I prodotti culturali sul mercato sono quasi tutti collettivi: per esempio, nel cinema, l’autore vero è un soggetto plurimo che comprende il produttore, lo sceneggiatore, il regista, lo star system che fa propendere per la scritturazione di un attore al posto di un altro forse più adatto a quel ruolo ma meno celebre, ecc.

La letteratura è uno dei pochissimi luoghi dove l’individuo singolo ha la gestione totale delle sue parole. Ciò non succede nemmeno in altri ambiti che consideriamo accettabilmente liberi (per esempio il giornalismo: anche con le migliori intenzioni, una redazione può snaturare il senso di un articolo mettendogli un titolo che enfatizza soltanto una parte del testo, ecc.).

Le fantasie collettivamente confezionate da ditte, industrie, case di produzione, nazioni, popoli mi interessano, ma io sono un singolo individuo che, in quanto tale, ha bisogno di conoscere anche le fantasie degli altri singoli individui come me.

Perciò io oggi considero un valore tutto ciò che in letteratura dimostra peculiarità individuale. Maggiore è la quota di singolarità, di originalità personale, maggiore è la simpatia preventiva con la quale mi avvicino a un’opera (naturale che poi quelli che contano sono i risultati). Disprezzo, o non apprezzo, chi si allinea al coro generale, al genere letterario preformato, chi sceglie di trattare un tema la cui importanza sociale è universalmente sancita (ma sono pronto a cambiare idea, caso per caso, se i risultati sono buoni). La letteratura per me è irriducibilità, idiosincrasia, eccezione (e di conseguenza eversione). Ciò non significa affatto che dev’essere per forza incomprensibile, tortuosa a tutti i costi o, peggio, autistica. Può esistere, paradossalmente, persino un’idiosincrasia della chiarezza, uno scrittore torturato dalla cristallinità comunicativa (Calvino…!); perciò non sono d’accordo nemmeno con il mio amato Manganelli, se assolutizza l’oscurità scontrosa.

La mia ideologia della poetica personale ha, come conseguenza, l’impossibilità di aspettarsi che qualcuno si adegui alle mie opzioni di poetica. Dunque, per coerenza, nessuna ricetta “in vista di un’ipotesi positiva di progettazione della scrittura”. Ciascuno scriva come vuole, purché cerchi di portare il suo apporto.

Credo che potrebbero tornarci utili alcune categorie della retorica classica: inventio, dispositio, elocutio.

Per quanto riguarda l’inventio nei romanzi, per esempio, quando ne leggo uno mi chiedo: lo scrittore ha inventato la sua storia o si è appoggiato a una storia già esistente? Ha usato la biografia di un personaggio storico? Ha sfruttato lo schema mille volte già narrato di un genere letterario? So bene che ci sono esiti sommi che sono partiti da una ri-narrazione, ma la mia poetica individualistica mi fa simpatizzare per quelli che inventano di più, per quelli che inventano dalle fondamenta. Mi aspetto uno scrittore che aggiunga miti nuovi al repertorio umano, non solo che li ri-racconti.

Ecco, tenendo presente questa mia simpatia per l’originalità individuale, e mantenendo per comodità le etichette con cui la retorica classica nominava le parti dell’elaborazione della scrittura, mi pare che oggi sia debole soprattutto l’inventio.

La dispositio, ossia la distribuzione delle parti del testo, l’architettura del libro, è ormai alla portata di molti: la sagacia del montaggio ci viene da un lungo apprendistato di millenni di teatro e secoli di romanzi e cento anni di cinema e fumetto, non è difficile tessere un intreccio ben dosato nella successione delle sequenze.

L’elocutio può essere una discriminante illusoria per valutare la stoffa di uno scrittore e la qualità del suo libro, ma anche “in vista di un’ipotesi positiva di progettazione della scrittura”: si contrappongono gli scrittori chiari agli oscuri, quelli che scrivono facile (i democratici) a quelli che scrivono difficile (gli elitari), ma il punto decisivo secondo me (almeno nei romanzi) è un altro. Mi capita di leggere parecchi romanzi scritti bene, anche di autori inediti: ormai tutti, o quasi, sanno “scrivere bene”, nel senso che sono capaci di mettere insieme una storia ben montata, un intreccio ben calibrato, con una scrittura che può essere, a seconda, efficacemente chiara e servizievole, votata alla comprensibilità, oppure virtuosisticamente elaborata, ecc.

Semmai mi sembra che in molti casi il difetto che hanno questi libri sia a livello di ideazione (l’inventio): l’originalità della trama, l’interesse della vicenda, che appassioni, sì, ma non mortifichi la complessità dei personaggi spingendoli a fare atti implausibili per puri scopi narrativi, ecc., e, d’altro lato, non impantani noiosamente l’imprevedibilità del destino ancorandolo al rispetto pedante per la verosimiglianza.

Conosco molti romanzieri, anche già affermati, bravissimi nello scrivere dialoghi, ritrarre caratteri, alternare sapientemente descrizioni e scene d’azione, che però non hanno lavorato fino in fondo nell’ideazione, non hanno dato forma a una storia sviluppandone fino in fondo le potenzialità. Mancano di fantasia. La fantasia, sì! È questo il nodo cruciale, e anche lo scandalo della letteratura. Alla fine, la letteratura e in particolare il romanzo è il luogo in cui un individuo propone alla collettività le sue fantasie. Bisogna che i romanzieri abbiano la forza, il talento, il coraggio di fantasticare.

(Dove poi accada la fantasia, non saprei dire in assoluto. Per quanto mi riguarda, accade nella scrittura: non stendo scalette prima di scrivere, perché scrivere non è trascrivere, non è riversare nelle parole ciò che è già stato fantasticato. Io fantastico dentro le parole scritte, durante la stesura. Ti faccio un esempio-limite: Groppi d’amore nella scuraglia è indistricabile dalla lingua in cui è scritto. Non avrei potuto fantasticare quella storia e quei personaggi pensandoli fuori da quella particolare lingua, tutto ha preso forma scrivendo. Ma non sarei sincero se tacessi che ci sono state altre storie che ho pensato prima di scriverle, almeno a grandi linee. Credo di essere onesto però se dico che solo nella scrittura prende corpo la fantasia romanzesca, narrativa e anche poetica: sbocciano visioni impreviste, dialoghi che non erano stati articolati preventivamente, svolte nella vicenda che sono veri colpi di scena per lo scrittore stesso. La scrittura è un accadimento in sé. Il libro, nel suo farsi, sorprende per primo chi lo scrive. E, tra l’altro, sarebbe ben noioso scriverlo se fosse la pura trascrizione di una fantasia già vissuta in precedenza nell’animo. Ma questa è, lo ripeto, la mia via: non mi scandalizzo affatto di chi stende scalette prima di iniziare a scrivere; per alcune parti di romanzi complessi è un sistema utile).

Permettimi una nota di approfondimento: quando dico che “la letteratura è il luogo in cui un individuo propone alla collettività le sue fantasie” credo di esprimere un concetto niente affatto pacifico. Non vedi quante obiezioni ragionevoli possono essere sollevate contro un’idea simile, da un punto di vista politico, o anche solo di “buona educazione” nelle relazioni umane? Ne immagino (o meglio, ne riporto) qualcuna:

“E chi sei tu, perché dovremmo badare alle tue fantasie?”

“Oh, ma sei ben narcisista, se pensi di avere delle fantasie più importanti di quelle degli altri!”

“Perché non sei più umile e al posto delle tue irrisorie fantasie non scegli quelle già fantasticate dall’umanità?”

“Perché non ti occupi delle fantasie certificate e solennemente repertoriate dalla Cultura?”

“Perché non ri-racconti la Storia, o i Grandi Miti?”

“Perché non lasci perdere le fantasie e scrivi un bel saggio?”

“Perché ti ostini a fondarti su ciò che è infondato?”

Ecco, quest’ultima obiezione è lo scandalo antropologico e politico massimo: che ci sia qualcuno che si fonda sull’infondato, sul gratuito, su ciò-che-potrebbe-essere-altrimenti (la sua fantasia individuale) e pretenda di proporla come qualcosa che può avere valore pubblico. Il fatto che sia nata ed esista e persista un’istituzione (chiamata convenzionalmente letteratura) la quale difende e tutela e promuove questa cosa (la fantasia individuale linguisticamente formalizzata) a me sembra prodigioso, storicamente inestimabile.

Esiste poi l’oceano dei libri indefinibili, che non sono romanzi né saggi, o sono tutte e due le cose, libri che forse sono raccolte di aforismi, di racconti non aristotelici, non euclidei, scritti narrativi, poetici, umoristici, non del tutto filosofici, prose come quelle di Savinio o Sebald, ecc., raccolte di scritti visionari (meglio: fantasiosi) come quelli di Calvino o Michaux o Manganelli o Cortàzar o Flaiano (o Leopardi e Kafka…), ecc. A maggior ragione, la mia simpatia per l’originalità individuale le mette al primo posto. Simpatizzo con quegli autori che si inventano tutto, non solo lo stile di scrittura (elocutio), non solo il modo di raccontare una storia (dispositio), non solo la trama e i personaggi (inventio), ma anche la radice primaria, la forma complessiva del loro libro, la ratio germinativa della loro opera.

Grazie della lettera e congratulazioni per il sito

Tiziano Scarpa