Approfitto dell'uscita del 3° numero della rivista internet Il seme sotto la neve www.ilsemesottolaneve.org (bel titolo da un libro di Ignazio Silone) per postare una recensione che spinge curiosità. E' interessante il tema della ipervolubilità degli acquisti e la concentrazione delle uscite editoriali. Un tema che prima toccava i piccoli (autori/editori) e sempre più tocca i grandi (autori/editori/casi in montaggio e smontaggio repentini nonostante "manovrine" varie).
“Le ultime ore dei miei occhiali” di Nino Vetri
recensione di Fabrizio Ottaviani
Il successo o l’insuccesso di un romanzo – in questo caso di un racconto lungo; negli Stati Uniti lo chiamerebbero forse novelette – può dipendere da mille ragioni. Può accadere, per esempio, che sia soffocato dai suoi stessi compagni di scuderia. Qualcosa del genere è accaduto con Le ultime ore dei miei occhiali, opera prima del siciliano Nino Vetri, edita da Sellerio. Nelle stesse settimane in cui usciva il romanzo di Vetri comparivano infatti sugli scaffali delle librerie due testi, sempre per i tipi della Sellerio, che gli facevano concorrenza: il romanzo di Pietro Grossi L’acchito, il cui esordio l’anno scorso era stato molto apprezzato dai critici; e un singolare volume, Il correttore di bozze a firma di Francesco Recami, il quale prova ad estrarre da uno dei mestieri più misconosciuti, fra quelli che ruotano attorno alla carta stampata, una sorta di metafisica – ma senza alcun radicalismo cabalistico – della parola o della cifra.
Schiacciati tra Grossi e Recami, Le ultime ore dei miei occhiali hanno finito, quasi per contrasto, con l’essere appiattite e ricondotte agli aspetti più superficiali. In due parole, si è visto in esse l’ennesimo specimen di letteratura adolescenziale, da mettere accanto al celeberrimo e frusto – per le letture che se ne danno, non per il valore intrinseco – Giovane Holden. Quando invece il racconto di Vetri è ad un tempo più esile e più profondo. Anzi forse sta proprio in questo il valore del volumetto del siciliano: nel contrappunto fra un “motivo” adolescenziale virgolettato e ritmico, disteso da un candore compiaciuto e adorabile, da una parte; e quello spesso, greve, composto da due voci, che rimbomba minaccioso dall’altra.
La prima linea narrativa è quella del giovane protagonista, impegnato in un’attività molto comune fra gli adolescenti, la costituzione di una band: «Qualche tempo dopo aver comprato il disco dei Ramones cominciai anch’io ad andare in giro col giubbotto di pelle e i pantaloni strappati alle ginocchia».
L’altra fa capo invece alla figura del nonno defunto: «Mio nonno cambiava spessissimo i connotati. Una volta aveva dei baffetti sottili, un’altra volta il pizzetto, qualche volta la barba. Ma sempre le mani ai fianchi e il mento puntato verso l’alto. Un retaggio. “Non facciamo i mammolini”, diceva».
Ma per comprendere in tutta la sua criminale estensione in cosa consista tale misterioso “retaggio” bisognerà compulsare l’ultima pagina, un explicit che sorprende per incisività. L’espediente geniale di Vetri è stato di inserire, fra il “retaggio” del nonno e il piacevole egocentrismo del nipote, una sorta di filtro, di membrana osmotica in via di saturazione. È il monologo, sempre più vago ed opaco, del padre, la generazione di mezzo. Ed è significativo che si tratti di un malato di Alzheimer il quale, fra la costernazione di tutta la famiglia, comincia a non ricordare più dov’è il frigorifero di casa, ripone il pane nell’armadio e quando esce a comprare qualcosa torna poco dopo a mani vuote perché non sa più la ragione per la quale era uscito.
Snodandosi lungo questi binari – il giovane protagonista impegnato nelle prove di un concerto; il padre perso dietro ricordi così lontani (la guerra, con le incursioni dei bombardieri americani e le fughe sotto l’urlo delle sirene) da essersi messi in salvo dall’Alzheimer; il nonno, del quale emergono a poco a poco le reliquie (un fucile mitragliatore tedesco, o il mucchio di negativi fotografici dai quali, opportunamente stampati, emergerà la lugubre sorpresa finale) – Le ultime ore dei miei occhiali dimostrano che è possibile, con materiali leggeri, costruire piccoli capolavori di narrativa; riuscendo perfino a nascondere, fra le pieghe delle parole, qualcosa che assomiglia a un’indigesta verità: che l’“umanità” di una persona può entrare a regime su piani molto distanti dalle sue azioni; e che la simpatia, il calore o l’affetto non sono necessariamente un rimedio perfetto contro la barbarie.
(L’Autore è critico letterario de “Il Giornale”)
Nino Vetri
Le ultime ore dei miei occhiali
Sellerio, Palermo 2007
Pag. 80. Euro 10