Gestire i conflitti. Che brutta espressione per un bel concetto! Un concetto ammantato di pacifismo ma di smodata illealtà. Alle volte rimango stupito di quanto - a lavoro accade con frequenza abbacinante - si faccia uso smodato ed arte del fraintendimento. Me ne stupisco sempre un po'. Sempre. Ad esempio a me piace usare il cacciavite dell'ironia e dell'autoironia - ma dovrei dire la sega perché oggetto più consono a due mani (di due corpi diversi) - per dirimere questioni a cui una certa immobilità non dà la stura. E serve: aiuta: fa felici: risolve. Ma la gente non se ne accorge. Funziona proprio così: si lavora con piacere, si sega, si svita e senza rendersi conto del tempo che passa, del corpo che suda, del braccio che s'indolenzisce. Tutti felici poi quando quel non rendersi conto della fatica non fa più fatica e si apprezza il raggiunto risultato. Ecco allora farsi avanti, subdolo, il piacere della demistificazione. Dell'utilizzo fuori contesto dell'autoironia (la tua) che diventa (tuo)ironia, ironia verso te. Forse, non è il solo caso nella vita, bisognerebbe mettere sottotitoli. Tipo: stiamo usando l'autoironia come morbido cuscino per sudare con meno sforzo, dopo la metteremo da parte affinché ci serva ancora per altri sforzi. D'accordo? (come tuonava la vecchia Marchi) Forse serve un patto scritto che non ci faccia pentire di aver aiutato la fatica. Ecco: quando sento Gestione dei conflitti penso a queste cose qui, belle parole che nascondono vizi di forma. L'essere umano tende a prevalere e di epoca in epoca, di luogo in luogo trova il modo per farlo. In un secolo lo chiama "capitalismo", in un altro "internazionalismo", in certi anni "guerra", in altri "gestione del conflitto". C'è solo un frantendimento. Ad arte.
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