Intervista ad Agualusa (l'Adige 21.VII.2008)
Ma com'è fragile la memoria - Intervista ad Agualusa Roberto Carvelli
Anche per chi è più smaliziato è una grande tentazione quella di chiedere a uno scrittore chi sono i suoi riferimenti letterari. Con domanda più immediata: quali sono gli scrittori che ama? Sarà che è possibile creare una famiglia anche letterariamente e forse scoprire nomi in comune aiuta a capire quanti gradi di separazione ci distanziano. In pratica, una sorta di parentela o un'amicizia. Nel caso di José Eduardo Agualusa, scrittore angolano (nato da Huambo nel 1960) di lingua lusitana (vive tra Lisbona, Rio de Janeiro e Luanda), il gioco genealogico ha forse una ragione in più. La ragione è quella di una letteratura che qui da noi poco si conosce. E dunque, veniamo alla famiglia di Agualusa, questa: «Ci sono tanti modi di essere angolani. Io sono un angolano di origine portoghese che parla portoghese come lingua madre. In generale, in Angola c'è sempre stata un'attrazione per la letteratura latino americana, in particolare per quella brasiliana, e la portoghese come è ovvio. Per me è stato fondamentale uno scrittore portoghese dell'Ottocento, Eça de Queirós. Poi Rubém Fonseca e Guimarães Rosa. Mentre la generazione prima della mia ha amato molto Jorge Amado». A questo manipolo vorremmo aggiungere Pessoa - specie nel suo eteronimo Ricardo Reis - che nel libro di Agualusa ha la sua fetta di citazioni. Eppure il protagonista del libro dello scrittore angolano è Borges, rinato geco, che annidato tra le pareti di una casa ci racconta il destino di Felix Ventura, di mestiere genealogista ovvero «Il venditore di passati» (la Nuova frontiera, 15 euro) cui fa riferimento il titolo di questo romanzo. Colui che ricostruisce un passato pulito a chi ormai non ne ha più uno spendibile (una delle innumerevoli metafore di questo libro). Partiamo dalla situazione del suo Paese, nel quale sappiamo che lei ha avuto difficoltà per il coraggio delle sue posizioni. Come è la situazione in Angola? «In questo momento sto scrivendo un romanzo "retrofuturista" che cerca di far vedere Luanda con elementi di nazione moderna e allo stesso tempo con le caratteristiche di una società medievale. In Angola, e più segnatamente a Luanda, si trova una società diseguale. Nello stesso spazio convivono grande ricchezza e grande povertà. Il mio palazzo a Luanda al tempo del colonialismo era un palazzo di lusso. Dopo la colonizzazione è stato occupato da persone povere. I poveri cominciano a vendere le loro case e un appartamento può arrivare a costare più di un milione di dollari. Così, in un appartamento vive una famiglia ricca e accanto, in un altro, trenta persone che dividono la casa ancora con gli animali». La scelta di utilizzare un geco per far raccontare la storia è il doppio simbolo di un camaleontismo che è anche quello dello scrittore rispetto al suo tempo? E qual è l'influenza della situazione politica del suo Paese in questa scelta della metamorfosi? «L'Angola non è ancora una nazione democratica e dunque non è la stessa cosa scrivere in Angola o, per esempio, in Italia. In questo tempo si avverte in giro una certa paura. Il governo dell'Angola si è un po' spaventato con le elezioni in Zimbabwe. Dal 1992 per la prima volta a settembre ci saranno le elezioni e il governo è in grande apprensione. Nel partito al governo premono molto le correnti che pensano di non vincere le elezioni e così si fa leva sulla paura. In un contesto simile uno scrittore deve usare questi mezzi per raccontare le proprie storie. In Angola la maggioranza non ha la possibilità di esprimersi, è compito dello scrittore dare a questi "senza voce" la parola e creare il dibattito sui temi rilevanti». Un'altra caratteristica tipica dell'Angola è la grande forbice campagna/città... «C'è una differenza in una grande città di 4 o 5 milioni di persone dove la maggior parte abita in un contesto di grande povertà. Dove ci sono pochi molto ricchi che comunque condividono questa povertà: magari hanno una macchina costosissima parcheggiata davanti al portone di casa e dentro casa non hanno acqua. Poi ci sono comunità contadine che sono rimaste al margine della guerra e hanno potuto mantenere una struttura tradizionale, hanno avuto sempre alimenti e sono state preservate dalle malattie. Non hanno ad esempio subìto il flagello dell'Aids che invece si è diffuso nelle grandi città. Ma questa è l'eccezione: la maggioranza delle comunità contadine ha subito tutto il peggio della guerra». Lei fa dire a un suo personaggio "La castità è un'inutile agonia, ragazzo, io la correggo con piacere" e "Il peccato peggiore è non amare". Sembra una specie di trionfo dell'antitesi. «C'è un riferimento alla biografia di Borges, quando il padre, per svezzarlo, lo indirizzò da una prostituta senza che lo scrittore però riuscisse a trovare l'amore. Tutto il libro in realtà riguarda la costruzione della nostra storia a partire dalle memorie. La memoria è una cosa fragile perché ci sono sempre tante versioni di una storia. Questa è l'ambiguità su cui è costruito il romanzo: la fragilità della memoria. Non si sa mai se quello che racconta lo scrittore è verità o finzione. Il tutto è un omaggio ironico a Borges. Una piccola vendetta verso un uomo che ha sempre avuto un'idea altezzosa nei confronti degli altri paesi latinoamericani e dell'Africa».
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