Ho letto e consiglio il libro di Beppe Sebaste Panchine (Laterza). Non mi era sfuggito a suo tempo un articolo su una domenica di Repubblica di qualche mese fa (e che l'autore racconta come la tavola preparatoria di questo testo) in cui Sebaste aveva espresso il suo debole per la seduta all'aperto. Le panchine di Sebaste sono in realtà un pretesto spazio-temporale per raccontare un sentimento lento e speculativo (speculativa l'osservazione e la riflessione: lo stesso viaggio per l'autore, filosofo eventuale). Le pagine più belle sono quelle dedicate a quello stato d'animo speciale in cui il mondo si ferma nella luminescenza dell'attesa forzata e rassegnata ma felice e serena. Il centro dell'Universo sembra un bar mai prima visto in cui attendiamo, il ciglio della strada con l'auto in panne, la scala su cui sediamo in attesa di un soccorso. Una via semplice per dire che la felicità è la maniera diversiva con cui si procrastina la morte/fine (nella forma di uno scampato pericolo o di un dolore che poi è, in definitiva, rimediabile). E' piccola la grandezza dell'Universo.
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