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Un pezzo su Carlo Coccioli (su Zoe Magazine)
Di Carvelli (del 10/06/2009 @ 15:23:48, in diario, linkato 5552 volte)

Sparire per ricomparire

di Roberto Carvelli

“Pochi giorni fa mi è arrivata, per via indiretta, una cartolina da San Antonio, Texas”. Chi scrive è Pier Vittorio Tondelli, indimenticato scrittore italiano a cui si deve la vera ripartenza di una letteratura contemporanea italiana nonché un brogliaccio di nomi perché essa si perpetuasse negli anni successivi nonostante la prematura scomparsa dello scrittore (frutto dello scouting delle sue antologie under 25). E’ lui che riceve la cartolina; è a lui che, in risposta a una sua recensione, scrive Carlo Coccioli. Peregrino tra Francia – in cui cerca di scampare per il livore del predominio nelle Patrie Lettere di Moravia – e Messico dove muore nel 2003. Tondelli fu estimatore di Coccioli che poi incontrò. Ora, grazie a Giulio Mozzi – anche a questo scrittore padovano dobbiamo un simile lavoro di messa in sicurezza dal rischio di annichilimento della letteratura – e a un nipote di Coccioli, questo autore riprende vita dopo tanto silenzio. Succede con il libro Davide (1976, ora Sironi € 17), finalista al tempo del Premio Campiello, autobiografia in transfert dell’eroe biblico su cui lo stesso Tondelli aveva messo in guardia dalla lettura ardua. Coccioli, come suggerisce Tondelli, è scrittore talvolta dell’esplosione del dettaglio ma interessante (“la sua ossessività, piace ugualmente”). Quello che interessa in Coccioli è la sua capacità di rilettura del mito in Ego. Un Ego a volte doppio o plurimo: “Non vi è mai stato un solo Davide: sempre ce ne sono stati due. Eravamo (siamo?) racchiusi in un solo corpo, ammirato per quanto lo si trovava bello (...) i nostri affanni (...) Consistevano nel sapere chi fosse chi: chi dei due Davide fosse Davide...” Coccioli (era questa ora la voce del suo Davide), oltre che per “lettori forti” come da definizione di Tondelli, non è autore consolatorio, nuova prova del nove per lettori non disposti alla facilità. La sua è una letteratura dell’eccesso dove si vive di continuo nel doppio e nell’incerto quello che gli fa leggere nell’eroe della Bibbia l’angelo e l’animale (“dualità funesta”). Mi piace pensare (non avendo letto altri libri e desiderando che vengano riportati alla luce; tra essi c’è anche una biografia di Buddha e un Piccolo karma che cercherò di procurarmi quanto prima) che il lavoro sull’Io e sulla sua doppiezza o complessità, sulla spiritualità, sia una traccia continua della sua opera, intesa anche come “necessità della funzione sociale” a cui si richiama, e a cui chiama lo scrittore, Coccioli  (lo leggo in un saggio sullo scrittore dedicatogli dal Mercure de France nel 1952 a dimostrazione della attenzione non recente dell’universo mondo letterario). Lo scrittore, nato a Livorno nel 1920, fu anche autore di un contestato e ostacolato romanzo di tematiche omosessuali: Fabrizio Lupo (in Francia nel 1952 non senza ostracismi lì e altrove fino all’edizione italiana del 1978 e analoghe reticenze) di cui leggo per voce di Mozzi, che scrive un’appassionata ouverture bibliofila, aperto alla trascendenza (anche qui ho conferma che sia tematica ideale più che spunto narrativo). Quello che dà gioia in questa riscoperta post-mortem di Coccioli è comunque la capacità di durare della letteratura, la sua grande potenzialità temporale. I libri non muoiono anche se non danno, apparentemente, più segni di vita. In letteratura nulla scompare per morire: va solo in una latenza sempre pronta all’emersione. L’autore del miracolo è il lettore. Il lettore appassionato, quello che conserva i libri e li legge, la funzione principe della sua piccola religione. E’ bene ripetersi questa capacità dei libri in tempi in cui le regole le fa il fariseismo del commerce. La verità dei numeri non è nella diffusione milionaria. Il numero che conta è il 2, il piccolo ponte a sponde tra scrittore e lettore. Un raddoppio, il segno in una unione semplice ma potenziabile, l’unico gesto che fa funzionare e durare le parole delle storie. Il rapporto esclusivo dell’a tu per tu è la vera assicurazione della durata dei libri, quella che manca spesso nell’indeterminatezza del ponte incerto e provvisorio che dalla base missilistica dell’editore blockbuster cerca di raggiungere l’universo-acquirente più che l’universo-lettore. E’ a due che si gioca la partita della lettura e il primo a saperlo doveva essere proprio Coccioli alla continua presa con l’altro da sé fino al mito e alla trascendenza.

 

PS Aggiungo questa nota dopo aver comprato su internet e ricevuto il prezioso Piccolo karma (Baldini&Castoldi), il cui sottotitolo recita Minutario di San Antonio in Texas. Scrivo “prezioso” perché intendo che qua dentro c’è il senso della vera spiritualità e mi rimarrà attaccato addosso, lo capisco da subito e me lo confermo divorandolo. La felicità di una ricerca che inizia dall’assunto “Vorrei non avere scritto tutti i libri che ho scritto. Vorrei averne scritto soltanto uno: semplice, chiaro, preciso, definitivo. Vivo con la pena di non essere stato capace di scriverlo.” In realtà per un fausto contrappasso questa dichiarazione di sconfitta finisce per esserlo d’intenti e leggete uno dei libri più essenziali che vi possa accadere d’intercettare. Senza saperne nulla. Per caso. Così come s’intercetta per caso (ma dopo sforzi lieti, sinceri e instancabili) l’illuminazione.

 

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