Dogville e la critica militante retroattiva
Mi scappano le lettere, quelle al direttore, o altra eminenza grigia gravitante attorno ad una testata. Chi ha frequentato o frequenta i giornali sa perché. Non si può generalizzare ma spesso si tratta di lavoro subappaltato a giovani giornalisti tutto sommato pure un po’ ammaliati un po’ rosikelli delle manie di grandezza dei tenutari della legittima. Indi, le salto a piedi pari. Salvo, time ago, avevo pensato di scrivere con una certa continuità a questi suddetti, ponendo questioni. Sarebbe stata un’intimazione di marca letteraria o qualcosa del genere. Intanto le salto. Salvo ieri. Aprendo lo Specchio de La Stampa sono rimasto colpito dal titolo
Il messaggio di Dogville. Risponde la Lietta Tornabuoni, uno dei critici cinematografici più prestigiosi e stimati delle pagine spettacoli dei nostri quotidiani. Il titolo della lettera è la lettera. La risposta: “Mi sembra che Dogville comunichi due specie di messaggi. Il primo è quello del suo stile, di un cinema senza ostentazioni né sprechi, quasi povero ma ricco di emozioni forti.” E fin qui… Poi: “Il secondo non è esattamente un messaggio, piuttosto la constatazione di quanto possa essere violenta la sopraffazione esercitata sui più deboli e disarmati, di come la convenienza del più forte possa trasformare le vittime in colpevoli. Spesso purtroppo, non sempre fortunatamente, questa è la realtà.” Appunto. La realtà. Che dire. Io sapevo poco a vederlo ma non ho avuto dubbi uscendo che fosse un film anti-americano. E ho visto almeno due anti-americhe. Quella piccola, della piccola America (c’è!) che si difende dall’esterno/interno aggredendolo, vittimizzandolo (sì). Insomma razzismo e propaggini, moralismo e dintorni. E quella grande che l’esterno lo aggredisce e tutto è sotto gli occhi di tutti. Così, senza saperne nulla. Solo per aver capito che in quel Dog(ville) c’era già una matrice etimologica. –Ville. E –dog. Ma poi io ho amici informati e mi dicono Lars avercela a piene mani con gli USA (la stessa scelta della Kidman, reduce dall’americanissima visione di Kubrick e qui bravissima (come sempre e come non mai), ahilei incazzata con Lars!), di aver fatto dichiarazioni in questo senso, addirittura preannunciando Tri o tetra(non ricordo)logia. E allora? Che succede? Ho amici di deriva sinistra? Che poi sì, è vero. O peggio i critici (alcuni) tendono a censurare messaggi scomodi? Non va più di moda il giornalismo militante? Cioè a parole sì: uno si dice militante e alla fine ha una specie di passaporto/lasciapassare per gli errori. Insomma, militanti a ritroso, militanti retroattivi. Il punto non è che la critica sia sbagliata, non lo è. Il punto è l’informazione: perché non far sapere il progetto, il pensiero dell’artista? Addolcire o annacquare tutto? Credo sia fortemente in contrasto con al poetica di Lars Von Trier e mi dispiace per chi legge.
Vi ricordate? FESSO CHI LEGGE.
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