Su L'uomo che verrą, su APLC
Di Carvelli (del 23/02/2010 @ 12:22:57, in diario, linkato 1204 volte)
L'uomo che verrà, quello nuovo Girarsi indietro, anche a rischio di diventare una statua di sale Roberto Carvelli (www.amiciperlacitta.it 14/02/2010)
Il mondo è pieno di metafore per dire questo. La letteratura – specie quella religiosa – trasuda metafore per questo. E “questo” è “la capacità di riconoscere le persone e le cose per quello che sono nella loro funzione più profonda”. Questo è: saper dire cosa è importante e cosa no. E chi. Questo è riconoscere per quello che è un film che esce nelle sale come qualsiasi altro (forse in un numero di copie minore rispetto ad Avatar o Baciami ancora) ma che non è come qualsiasi altro. Scrivo tutto questo a proposito del film di Giorgio Diritti sulla strage di Marzabotto. Lo scrivo tornando a casa e riprendendo in mano uno dei libri che hanno segnato la mia formazione letteraria, Mattatoio n. 5. Lo ha scritto Kurt Vonnegut e la IV di copertina mi ricorda ogni volta che mi ricade nella mani che è “Uno dei più grandi romanzi contro la guerra”. Vonnegut racconta a ritroso la Dresda a cui aveva partecipato da soldato. In una specie di profonda espiazione rievoca uno dei bombardamenti più terribili della storia. A un certo punto scrive: “Così va la vita. Era gente spregevole, quella di Sodoma e Gomorra, come tutti sanno. Il mondo stava meglio senza di loro. E alla moglie di Lot, naturalmente, fu detto di non voltarsi indietro a guardare il luogo dove prima c’era tutta quella gente con le sue case. Lei invece si voltò, e per questo io le voglio bene: perché fu un gesto profondamente umano. Così fu trasformata in un pilastro di sale. “Così va la vita”. Già: la vita va così. Costa molto voltarsi indietro, fare gesti profondamente umani. Deve averlo scoperto Vonnegut e forse l’avrà avvertito Diritti. Uscendo dalla sala dopo aver visto L’uomo che verrà mi sono chiesto da quanto nella cinematografia italiana non comparisse un capolavoro del genere e viene facile pensare a Olmi e al suo Albero degli zoccoli ma non è questione di confronti. Di Diritti ho visto in tempi quasi non sospetti il primo piccolo film di culto al suo esordio Il vento fa il suo giro ma non avrei immaginato che si potesse raggiungere al secondo film tanta perfezione di visione e di racconto, tanta capacità di guidare gli attori a partire dalla bravissima bambina che interpreta Martina. Si narra di Marzabotto e il voltarsi indietro colmo di pietas e di dolore (senza rancore e senza retorica) del regista rende il gesto della rievocazione una dolorosa trasformazione del dolore in qualcosa che ti immobilizza nel dolore e ti fa uscire irrigidito nel sale della sofferenza. Uscendo dalla sala dopo aver visto L’uomo che verrà mi sono chiesto se questo film verrà riconosciuto per quello che è e non confuso con film belli (altrettanto belli), cose divertenti, pensieri interessanti, cose inutili pensate come necessarie. Sodoma e Gomorra erano piene di persone sgradevoli. Sì. Forse per andare di metafora potremmo mettere al posto di quei toponimi altri. Di certo ci potremmo convincere che sia giusto bombardarli posti così sgradevolmente minacciosi. Quello che ho avuto la fortuna diciannove anni fa di riconoscere come maestro di vita, il pensatore giapponese Daisaku Ikeda, si è fatto recentemente promotore di una proposta per la stesura di una “dichiarazione per l’abolizione del nucleare da parte della popolazione mondiale” da sottoporre all’Assemblea Generale dell’ONU entro il 2015. In essa si parla di disarmo interiore e si invita a costruire una solidarietà globale al fine di rendere possibile la denuclearizzazione. Ikeda domanda “L’umanità non ha davvero altra scelta che vivere sotto la minaccia delle armi nucleari?” e invita i giovani a farsi promotori e testimoni di un futuro senza il pericolo della guerra nucleare. Anche io come Vonnegut voglio bene a chi si gira indietro anche a rischio di diventare una statua di sale. E’ un gesto profondamente umano anche se Sodoma e Gomorra sono piene di persone sgradevoli, come forse lo era Dresda e la Marzabotto partigiana su cui i tedeschi hanno fatto piovere piombo. Per tutto questo – il questo di cui dicevo – vi invito a voltarvi a rivedere la Marzabotto del dolore del film perfetto di Diritti e ripensare a cosa è davvero profondamente necessario per la nostra felicità non solo presente. Per tutto questo e per lasciarvi con un pensiero pratico vi invito a pensare se quell’infinito potenziale umano di cui disponiamo secondo il filosofo giapponese debba coincidere con l’infinito potere distruttivo della guerra o l’infinito potere deterrente delle nostre piccole azioni quotidiane per evitarla ogni giorno, fatto di voltarsi pietosi a rianalizzare quello che ci ha spaventato o ci spaventa, quello che temiamo possa corromperci e da cui fuggiamo lanciando la bomba che cancella, una parola, un luogo comune. Forse questo è (o lo speriamo) L’uomo che verrà, dopo di noi.
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