Di Anna vedova non viene facile dire
Di Anna vedova non viene facile dire. Il fatto è che – e già l’ho detto – una donna senza figli a cui muore il marito rimane con un dolore corto. O almeno è opinione diffusa che un dispiacere in solitaria non debba avere la stessa vibrante attenzione che merita un male spartito con altri, figli piccoli o adolescenti.
E così, a esequie avvenute, a qualche mese di attenzione di amici e parenti suoi, amici e parenti di lui, Anna è rimasta lì, in un angolo un po’ sfortunato. In un cono di ombra infelice e sconsolato. E stiamo ancora parlando della percezione altrui.
Anna ha fatto pace con il suo passato. E’ come se si fosse detta “ho avuto questo dalla vita” e fa un elenco:
un uomo che mi ha amato per anni
un uomo che ho amato per anni
dei viaggi in moto, in tenda
litigare e (soprattutto) fare pace
delle ore in cui ho fatto l’amore
un silenzio lungo ore o il sonno subito dopo
un cane già vecchio da portare per qualche anno a fare la pipì a turno
una macchina a cui pagare l’assicurazione facendo a chi si ricorda prima
uno specchio grande davanti al quale vedersi in due
due, la mia e la sua, cerimonie di laurea fatte da grandi e quindi senza tutte quelle bramosie e aspettative giovanili
estati da pianificare
feste da santificare e (soprattutto) da spartire con equanimità tra le famiglie
andare e (soprattutto) tornare dai grandi magazzini
la spesa fatta insieme alla domenica
la lista che l’anticipa
le discussioni sulla lista medesima
tanti oggetti brutti (secondo me) per scelta di lui a cui ora non rinuncerei per nulla al mondo
libri (di lui) che non ho letto, che mai avrei letto e che ora sto leggendo
libri miei (che lui mai avrebbe letto) e che ora leggo a brani, ad alta voce come se lui potesse sentirmi
apparecchiare per due
mangiare anche se non ho fame per fargli piacere
strofinare col sapone i colletti delle camicie (magari facendo un po’ di storie)
lavare la biancheria intima sua o la mia pensando a quando erano indosso.
E ora che ci ripensa le sembra davvero molto.