E' probabile che ci siano film belli e brutti, riusciti o meno. Film difficili o facili. In breve, ci sarà anche una categoria "film da vedere" (mentre non immagino, per quanto spesso sono in dissenso con qualche pellicola, esistano "film da non vedere"). A questo gruppo iscrivo L'amore buio di Antonio Capuano. Un film che credo mi rimarrà addosso per un po' con tutta l'involontarietà dei racconti forti, senza forma e senza troppa narratività ma con molta significazione emotiva. Con due attori (non attori?) bravi. Irene De Angelis (qui in foto)
e Gabriele Agrio. Entrambi bravissimi. E' bello (anche se difficile per chi è abituato a consumare tv e cinema di tv) lo sguardo di Capuano. In particolare quello dall'alto su una Nisida raggiungibile e irraggiungibile (sede del carcere minorile del film) e quello in soggettiva (vedi ancora foto) di Irene sui muri dei vicoli. Vivere la vita che viviamo, vivere la vita che non vorremmo vivere. E' in questo scarto la profonda pietas di Capuano che mastica bassi ed emergenza in una pasta con la volontà di liberazione che pare impossibile eppure così naturale. C'è salvezza? C'è la possibilità di salvezza? Capuano pare dire di sì ma senza retorica. Un pericolo sempre incombente quando si analizza "la caduta". Quella altrettanto naturale determinata da contingenze difficili da immaginare per chi ne è distante. Quella chehai addosso senza sapere fin dove ti porterà e quando e quella che senza che tu lo sappia ti sta per intruppare contro. E poi ci sono le conseguenze, la diliera degli effetti, il domino dell'ineluttabilità ripetuta dell cadute. E' un dono raro per un regista avere tanta lievità nel male. Un distacco pietoso, difficile da cercare davanti al male e alla sua rappresentazione.
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