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L'importante è finire
Di Carvelli (del 01/10/2010 @ 09:57:48, in diario, linkato 792 volte)

Due delle opere teatrali più note e rappresentate di Samuel Beckett si aprono con la fine. In Aspettando Godot S.B. fa dire a Estragone in apertura "Niente da fare". Clov in Finale di partita principia con "Finita, è finita, sta forse per finire". Mi è rivenuto in mente leggendo l'intro di Antonio Tabucchi al libro su Marilyn Monroe Fragments che esce ora per Feltrinelli. Ecco un estratto che mi ha colpito.

Come sarebbe stata la storia se Marilyn, invece di avere quella straordinaria bellezza che la rese celebre per il cinema, fosse stata una donna dall' aspetto comune? Avrebbe pubblicato in vita quello che noi leggiamo ora e probabilmente si sarebbe suicidata come si è suicidata Sylvia Plath. E forse si sarebbe detto che come Sylvia Plath si era suicidata perché era troppo sensibile e troppo intelligente, e le persone troppo sensibili e troppo intelligenti soffrono di più delle persone poco sensibili e poco intelligenti e tendenzialmente si suicidano (questo lo sostengono gli psichiatri e le statistiche). Se le persone scarsamente sensibili e intelligenti tendono a far del male agli altri, le persone troppo sensibili e troppo intelligenti tendono a fare del male a se stesse: chi è troppo sensibile e intelligente conosce i rischi che comporta la complessità di ciò che la vita sceglie per noi o ci consente di scegliere, è consapevole della pluralità di cui siamo fatti non solo con una natura doppia, ma tripla, quadrupla, con le mille ipotesi dell' esistenza. Questo è il grande problema di coloro che sentono troppo e capiscono troppo: che potremmo essere tante cose, ma la vita è una sola e ci obbliga a essere solo una cosa, quella che gli altri pensano che noi siamo. *** Idolo nel senso etimologico della parola (greco eidolon, il doppio "aereo" di un vero corpo), Marilyn sembra fuori da se stessa, o accanto a se stessa, come se avesse un' aura a lei identica ma imprendibile, e lei coincidesse più con quest' aura che con il suo corpo. Una donna di una carnalità così gioiosa, con un doppio fatto d' aria per la malinconia.

Ho ripensato a un'idea che mi frulla per la mente ogni tanto. Ovvero se il suicidio sia da considerare l'estrema ratio (e uso ratio non a caso) di chi ha l'esatta percezione della fine in anticipo. Altri ci arrivano alla fine. Ma non per tutti i finali delle partite sono alla linea dell'orizzonte. E così anche in quella che chiamiamo vita. Per tutti è già detto tutto, già tutto. Prima (ma chi stabilisce i tempi?) che tutto accada. E anche qui: cosa è tutto? Chi ha la pazienza di aspettare la vera fine?