AriBennett e un po' di buddismo
Trovo nel libro di Bennett (Una vita come le altre) di cui scrivo da qualche giorno un concetto che spesso ho letto in libri buddisti. Tiro una piccola pellicola, niente di profondo, un velo appena. Dato che noi di solito ci concentriamo sugli effetti - quello che vediamo o riscontriamo empiricamente - e ci dà un bel da fare già questo, manchiamo di vedere le cause. E il caso vuole che spesso effetti diversi generino da causa unica (non come pensiamo da cause diverse). Come un motore che poi diversifica le emissioni. Bennett fa giustizia di un concetto che spesso ho riscontrato. Cito.
Per giustificare una persona o minimizzare una sua mancanza si dice che è timida (le madri specialmente lo fanno), ma raramente la persona in oggetto si autodefinisce così. Perché se si è timidi, generalmente lo si è troppo per poterlo dire: "Sono timido" è un'uscita piuttosto audace. Protetto da questa definizione, impiegai molto tempo per capire che il timido e lo sfrontato condividono lo stesso presupposto: tutti mi stanno guardando, pensa il timido (e vorrei che non lo facessero); tutti mi stanno guardando, pensa l'arrogante (e vorrei vedere).
Proviamo a fare questa giornata.
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