Mi diverte la parola “titolo di viaggio”. La penso oggi mentre scelgo forzosamente la metro al posto della moto. Ho titoli di viaggio? Sì due. Ma ho anche un diverso titolo di viaggio: sempre la Munro, sempre un racconto da Il percorso dell’amore, intitolato Mucchio bianco. Il racconto si presta al viaggio breve di 8-9 fermate e la scrittrice canadese ti catapulta in un mondo famigliare fatto di cose piccole, esplose. Come quando racconta con sobrietà una scena di amore coniugale mentre i bambini scalpicciano downstairs. Come quando racconta il corpo di un’anziana nuda. C’è in questo racconto un talento per l’impudicizia – in una sua forma molto munroiana (quindi cesellata e arguta, ma senza ricerca d’effetto) – che lo rende trasgressivo in modo molto naturale. E da sé. Senza fuochi di artificio. Leggo per voi: “Negli anni a venire avrebbe imparato a riconoscere i segni premonitori dell’inizio come della fine di una relazione amorosa. Non l’avrebbe più stupita tanto constatare come possa squarciarsi la pellicola protettiva che ricopre ogni situazione. (…) – Secondo me, il momento migliore è sempre l’inizio. L’inizio e basta. È l’unica parte autentica. Anzi, forse persino l’attimo prima dell’inizio. Forse quando ti balena in testa l’idea che possa succedere. Forse è quella la parte migliore”.
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