Mi sono laureato nel 1992 sull’opera narrativa di Tonino Guerra e sulle dinamiche di scambio tra questa e quella cinematografica (di sceneggiatore dei grandi Fellini, Antonioni, Tarkovskij, Anghelopoulos, ecc.). Il mio professore, Walter Pedullà, mi ricordo aveva qualche dubbio pur ammirandolo e apprezzandolo molto mi suggerì di sviluppare una “linea padana” con Malerba, Celati e altri. Io insistetti per costruire parte del lavoro su questa triplice complessità della sua opera (poesia, narrativa, sceneggiatura) e alla fine ne fummo soddisfatti tutti. Tonino Guerra l’ho incontrato diverse volte, intervistato alcune (una delle interviste è in Amarsi a Roma – Ponte Sisto). Un paio di volte gli ho chiesto una poesia e la sceneggiatura di un cartone animato per una rivista con cui collaboravo. Poi ho continuato a seguirlo sempre apprezzando la coerenza arte/vita che lo aveva fatto ritornare nei suoi luoghi in una sorta di bioregionalismo molto coerente. Posso dire oggi che molto nella sua opera – il senso di un magico naturale, uno psicologismo straniante e sdoppiato, il racconto dei luoghi abbandonati e la necessità di salvare il mondo contadino – mi appartengono come fossero miei. In fondo questo fanno i libri o i film: riempire di senso quel piccolo vuoto informe che da soli non riusciamo a disegnare pur intuendone perfettamente i confini lontani, le forme vaghe. Elementi di una composizione di senso di cui abbiamo spesso, appunto, solo intuito, odore o sapore. Così posso dire che la tesi di laurea e tutto il corso di studi (esami compresi) sono stati orientati a questa traccia di viaggio e di speculazione. La scintilla era stato un film pur non eccelso quale Il frullo del passero tratto da uno dei bellissimi racconti de Il polverone. I suoi libri (prima che Bompiani decidesse di ridargli l’attenzione meritata) erano introvabili, stampati per editori minuscoli o poco propensi all’editoria letteraria. Ogni sua nuova raccolta è stata, così, per me una caccia al tesoro. E questo mi piace che rimanga nella mia passione di lettore: non accontentarmi dei frutti del supermercato ma cercare quei sapori rari che spesso sfuggono ai nostri editori, recensori, lettori. Pur bravi sono spesso destinati a fare da cassa di risonanza del medesimo indifferenziato gusto dell’epoca che loro stessi spesso contribuiscono a creare con l’ingenua o insincera manifestazione di un’ottimizzazione selettiva che spesso ci allontana da altre – non comprese – manifestazioni della grandezza umana.
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