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P.A.R. su www.romastyle.info
Di Carvelli (del 04/11/2004 @ 16:41:38, in diario, linkato 1031 volte)

Una intervista su:

ROBERTO CARVELLI: PERDERSI A ROMA



 

Perdersi a Roma è il titolo di un libro pubblicato dalla casa editrice romana Edizioni Interculturali. Il suo autore è Roberto Carvelli, scrittore in senso classico e romano in modo totale. Romastyle lo ha contattato per parlare del suo libro e ovviamente di Roma...

Dando un'occhiata al tuo, chiamiamolo così, curriculum scritturae si nota una attitudine alla diversificazione degli interessi. Come nasce l'idea di una guida "insolita e sentimentale" di Roma? E come si concilia con i tuoi lavori precedenti?
Non so. Credo sia carattere. Forse ho bisogno di divertirmi nel fare le cose che faccio e trovo stimoli nella differenza. Essenzialmente mi muovo attorno ad un’idea. 'Bebo e altri ribelli. La rivoluzione spiegata alle commesse' (Nonluoghi) era un libro che poteva essere antico e moderno quindi sposava passioni, suggestioni classiche e contemporanee. L’idea civico-politica di una rivoluzione possibile dei luoghi, nei luoghi, portata avanti da persone semplici. Ed era un libro di formazione: il mio primo libro. 'Letti' (Voland) è un’ipotesi di autobiografia scritta attraverso un oggetto . 'La comunità porno' (Editore Coniglio) è un documentario di fatto sui set vietati ai 18, uno sguardo curioso ma sobrio su un mondo nascosto in cui ho avuto la fortuna di entrare come un iniziato in disparte e che nasce dall’amicizia con un editore, Francesco Coniglio. Mi piace lavorare con le persone che stimo. Uno scrittore è fatto da un editore. Anche. Con Edizioni Interculturali – la casa editrice della guida di Roma – è stato lo stesso: fiducia, stima, amicizia, a tratti affetto. È stato un progetto portato avanti a piccoli passi come se camminassimo insieme nella nostra città, ci muovessimo nelle pagine del libro. Tutto sembra raccontare questo viaggio editoriale, le pagine, le illustrazioni, la copertina. Tutto.

Nel tuo libro ti avvali dell'ausilio di numerosi uomini e donne di lettere che a Roma ci sono nati o hanno scelto di viverci. E' una scelta di "classe" quella di interpellare solo l'ambiente letterario?
Di classe sì. Un piccolo orto chiuso dove speravo di trovare – e di fatto è successo – un ascolto e un’attenzione speciale e un modo per sagomare la città con le case dove vengono partorite opere che amiamo. Le interviste hanno tenore diverso, questo è bello secondo me. In alcune si sente ancora il nastro del registratore che scorre in altre la cura delle risposte scritte. Questa difformità l’ho cercata e voluta.

Tra le cose che più mi hanno colpito di 'Perdersi a Roma' c'è sicuramente il tuo modo di descrivere gli aspetti di Roma in maniera tangenziale (non quella est). Un non voler metter nero su bianco, un voler cercare suggestioni e non punti fermi. Secondo te quanto conta lo stile quando si racconta?
Mi piace quello che dici soprattutto nella prima parte. C’è un sentimento (sentimentale è appunto la guida) con cui ci si confronta con le cose. Se uno è onesto nel trasferire al lettore questo sentimento, qualunque esso sia lo stile è giusto. Ecco lo stile è la voce “giusta” di un libro, quella che rende unica l’opera e conferma le premesse della scrittura. Da questo punto di vista lo stile è la verifica, diversamente si cade nel esercizio, nello sfoggio di erudizione. Lo sguardo vagante, l’approccio tangenziale mi stanno bene. Non cercavo l’assolutezza ed è detto ovunque. Lo sguardo è il mio. La guida è personale.

I diversi capitoli del tuo libro sono preceduti da una ridda di citazioni di scrittori e scrittrici molto diversi tra loro che hanno raccontato Roma a volte in maniera accennata ed altre in modo quasi monotematico. permettimi un po’ di perfidia, ma davvero ti sei letto tutti ‘sti libri?
Un po’ ho cercato, un po’ ho riletto le cose che amo, gli scrittori cercando, curioso, di sapere se erano stati a Roma e come l’avevano vissuta, percepita, detta. Mi sono fatto guidare anche da antologie, amicizie, sensibilità altrui.

Più seriamente mi viene da chiederti chi tra gli autori che dicevamo ha raccontato meglio Roma, fosse anche con una frase sola?
Credo che ognuna di quelle frasi specie quelle del primo capitolo a definizioni della città sono una sorpresa di stati d’animo e differenze che credo vadano lette in una successione antologica con tutto lo spiazzamento che comporta. Ho un cuore speciale per le parole di Brodskij.

Rimanendo in zona letteratura credi anche tu che, come dice Christian Raimo nell'intervista che gli hai fatto, al giorno d'oggi per raccontare Roma bisogna depasolinizzarsi?
Per raccontare qualsiasi cosa bisogna essere liberi. Liberi dalla maniera. E questo vale per tutti i libri e tutti gli scrittori. Non mi piace la maniera. Credo che l’atto di liberazione degli scrittori debba essere totale. È indubbio che Pasolini abbia esercitato un fascino ma il punto non è storico letterario. Il punto deve riguardare l’atto della scrittura. È imbarazzante al contempo scoprire per esempio nella contemporaneità dei modi comuni determinati da letture partecipate (a volte percepite come imposte o assunte come settarie) o da editor consonanti che danno ai libri lo stesso tono, editori che si associano e critici che assecondano. È successo e succederà ma i nostri critici letterari non fanno letteratura con i modi ma con i libri e alle volte con gli autori.

Mi sembra che tu propenda per una visione di una Roma composta da più Rome. Pensi che ci sia un denominatore comune che travalica la divisione in quartieri e in ambienti?
L’idea era spezzarla, segmentarla nei quartieri, negli sguardi degli scrittori e nei miei passaggi personali. Insomma l’idea era come ha detto Alessandro Piperno, uno scrittore e critico, durante la presentazione, farla esplodere, distruggerla e poi rimontare i pezzi diversamente. Insomma un delirio urbanistico e di senso. Ma anche un tentativo di conoscenza essenziale.

Per finire un'ultima domanda a bruciapelo. Qual è il bello e qual è il brutto di Roma?
La sua capacità di mantenere il tempo, un’accoglienza non invasiva, il Tevere tanto bistrattato che le dà una direzione. Brutta l’incapacità di percepirsi alle volte in uno scambio paritario con il resto del mondo e la perdita progressiva di una cifra personale scambiata per una ossessione di centralità che non le fa bene e non le necessita.



Valerio Musillo

 

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