Un mio amico mi ha prestato un libro (Io e il cibo - Gambero Rosso) di interviste sul mangiare a scrittori - più o meno solo a loro - italiani e stranieri. Interviste poi messe in forma di intervento. In particolare mi piace quella a Erri De Luca che, in queste cose, riesce molto bene. Ha un modo di declinare il tempo personale, la storia e l'intimità - spesso domestica - in una forma compiuta e coinvolgente. C'è meno penna che altrove e giova all'intensità dello scambio col lettore. Nel suo pezzo ispirato all'aglio si mangia qualcosa per averlo visto fare a qualcun altro. Per impararne il sorriso come se nel mangiare fosse contenuto uno scambio simbolico. Si smette di cucinare una cosa o di gustarla per non perdere il ricordo della persona che ce la preparava. Anche bere e bere molto diventa un brutto esercizio per il ricordo di cose brutte. E bisogna ritrovare il modo per farlo ritirando fuori tutto il bello che c'è. Nel pezzo di Giuseppe Pontiggia c'è l'invito al mangiare in luogo dell'insipido degustare. E, in quello di Valerio Magrelli, l'esagerazione rabelaisiana. Quella che non fa ingrassare ma crepitare sotto il peso del troppo e poi caracollare come implodendo.
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