L'ultima ruota del carro è spesso la prima
Mi fa un po' effetto dovervi dire che quello che ci aspettiamo dal buon cinema (che spesso diciamo "d'autore" come se fosse un marchio, un IGP, un DOP con quella facilità intellettuale un po' gruppuscolare e compiaciuta) debba venire da un film programmaticamente non deputato al riconoscimento che gli stiamo per attribuire. "L'ultima ruota del carro" (titolo come di una profezia che si ribalta) di Giovanni Veronesi è un piccolo capolavoro e non solo del suo genere. Una commedia ben fatta come non accadeva da tempo di vedere. Un genere che, come si sa, è consapevole di non poter ambire a più che un po' di botteghino, non diciamo vincente ma almeno ben piazzato. E invece questa volta sbanca su un altro tavolo. Lo fa con le armi, pericolose perché a doppio filo, del cliché, della storia sin troppo comune per cercare di essere innovativa. Ma con la grazia sapiente di una bella scrittura, di una efficace recitazione, di un'ottima direzione finisce per portare a casa tutta la posta. E dire che spesso il GranPremio lo vince chi osa di più. Ma in questo caso osare qui è stato lavorare in questo esatto ingaggio del facile, del modesto (una modestia sobria e non sbandierata) che si rivela vincente ma pure sbalorditivo. E dovrebbe funzionare come una buona scuola per tutto il nostro cinema. Anche d'autore. E l'ho ridetto, ecco.
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