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Stoner and Her
Di Carvelli (del 18/03/2014 @ 08:56:45, in diario, linkato 848 volte)

 

Tardi rispetto al clamore da orecchio a orecchio che lo ha portato a essere uno dei libri più amati, oltre che apprezzati, nel 2013 leggo “Stoner” di John Williams. Una sorta di repechage che ha ridato lustro a un autore americano dimenticato. Inizio da questa scena bellissima: Eccoli, lei e lui: “‘Non sono ammalata’, disse lei. E poi aggiunse con voce calma, riflessiva e quasi distaccata: ‘Sono disperatamente… disperatamente infelice’. Lui ancora non capiva”. Poi capisce e: “Alla fine, con voce lenta e grave, disse: ‘Sotto molti aspetti, sono un uomo ignorante. Sono io che sono stupido, non lei. Non sono venuto a trovarla perché pensavo… sentivo che cominciavo a essere un fastidio. Forse non era vero’”. E non era vero: “‘No’, disse lei. ‘No, non era vero’. Sempre senza guardarla, Stoner continuò: ‘E non volevo causarle il disturbo di doversi confrontare con… con i mie sentimenti per lei… che prima o poi, se avessi continuato a vederla, si sarebbero palesati’. Lei restò immobile. Due lacrime le inumidirono le ciglia e le corsero giù per le guance. Non le asciugò. ‘Forse sono stato egoista. Pensavo che questa cosa non avrebbe fatto altro che mettere in imbarazzo lei e rendere infelice me. Conosce le mie… circostanze. Mi sembrava impossibile che lei potesse… provare qualcosa per me… se non…’”. Le circostanze di Stoner, il lui, sono che è sposato e ha scoperto di provare qualcosa per lei, la sua allieva, Miss Driscoll, e la cosa non deve piacergli particolarmente. O, almeno, per un uomo come lui un po’ integerrimo e cauto è una piccola ombra di imbarazzo a cui si abbandonerà solo vincendo una grande resistenza. Le cose stanno così. Ho ripensato a questa scena vedendo finalmente il bellissimo “Her” di Spike Jonze (di cui forse qualche tempo fa ho recensito il corto “I’m her”). Un film gravido di suggestioni al di là della gamification e del plot futuristico o futuribile. Se ci si può innamorare con trasporto emozionale di una voce sintetizzata, quale è la natura ultima, il grado zero del sentimento? Se le convenzioni (quelle dell’America degli anni di cui scrive Williams) possono essere piegate e persino la scienza sottomessa, quale è la cifra minima dell’amore? Giorni fa un mio amico mi faceva un discorso che qui sintetizzo: “Vedi, nell’amore contano tante cose, la confidenza, l’attrazione, la condivisione, il dialogo, la somiglianza di punti di vista sulle cose e di passioni eppure oggi, dopo tanto tempo, penso che può esserci anche uno solo di questi elementi – e gli altri sono venuti meno o non ci sono mai stati – e il rapporto può funzionare benissimo lo stesso”. Voleva dire – ha poi detto – che basta un solo ingrediente per la felicità. Il discorso si complicherebbe a voler allungare questa disamina. Per esempio si potrebbe chiedere: “Forse basta solo una decisione?” o “Forse basta solo un bisogno o la disponibilità all’accontentarsi?”. Ma mancherebbe la profondità dello spunto del mio amico che lascio all’osso: basta uno solo di questi elementi portato al suo livello più comprensivo e con la forza totalizzante di coprire con la sua forza gli altri, i mancanti. In “Her” manca la fisicità. Ma manca davvero? Non è vero forse che la costruzione di una confidenza la sostituisce con qualcosa di analogamente coinvolgente anche se indotta, stimolata, suggerita? Per tornare a Stoner e alla Driscoll, che si ameranno e si separeranno, il loro mondo – la loro storia – si chiude e trionfa nella dedica del primo libro di lei: “A J.W.”. Il mondo spesso finisce in tre lettere e un imbarazzo trionfante. A tre lettere diamo tutta la forza totalizzante che una voce sintetizzata da un sistema operativo o dei ricordi sbeccati finiscono per avere o non avere più. E va bene così.