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Cuba, il film di Cantet, la paura della corruzione
Di Carvelli (del 13/11/2014 @ 13:59:09, in diario, linkato 962 volte)
Il film di Laurent Cantet, Ritorno a L’Avana, nasce nell’ombra proiettata da una crisi di processo. Il processo è (o meglio la sua crisi è): se proteggi qualcosa dal rischio che possa essere corrotto o corrompersi, lo corrompi. Inizialmente, definitivamente. Il mo(n)do in cui tutto questo è raccontato è quello della Cuba dell’era d’oro in cui il sogno della rivoluzione in uno o più paesi (Bolivia e il Che eccetera) sembrava una luce non meteorica. Cuba era una stella che brillava nella galassia caraibica e faceva luce sugli States, sul mondo paraoccidentalizzato centroamericano, latinoamericanizzato ma protetto da evoluzioni “indie” a suon di strumentalizzazioni ben gestite. Una stella che illuminata dalla Russia manteneva un fulgore che poi avremmo scoperto, come molte altre luci, essere dopata. Ma dopata era la controrivoluzione, dopata la scelta di sostenere regimi militari. In ultima analisi era dopata l’idea di dopare. Alla fine di tutto questo materiale di storia e storiografia ci sono le storie minime. Le commoventi saghe umane che hanno dato corpo a questo doping, a questa iperprotezione. Il film è in definitiva un’apoteosi al negativo dell’essere minati nella propria libertà. Ma la morale non è: poverino chi è controllato, vessato da un ingranaggio sospettoso! Quanto: chi controlla corrompe. Chi prova a dominare rovina e crea le basi per la sua stessa rovina. Anche scegliere – e bene – i propri efficaci controllori, basisti della rapina della libertà non fa che ritardare la fine del processo di disgregazione. Utilizzando germi per combattere altri germi in un corpo che è già malato per il solo fatto di essere stato scelto come oggetto di cura.