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Incipit ovvero....Kamasutra in Smart inizia così
Di Carvelli (del 16/02/2005 @ 15:44:30, in diario, linkato 1790 volte)

 

 

i Lemming

– 5 –

 

 

 

Roberto Carvelli

 

 

KAMASUTRA IN SMART

 

 

racconto

 

 

 

 

A volte è necessario cambiare tutto perché niente cambi. Per questo alla smart è naturale mettere in discussione i risultati acquisiti e proporre sempre soluzioni innovative.

(Depliant smart fortwo coupé & smart fortwo cabrio 2004)

 

La smart è vostra complice in tutto. Le molteplici versioni d’allestimento, i materiali pregiati e gli accessori intelligenti fanno della smart l’auto dei vostri desideri. E il design è talmente flessibile che vi consente di personalizzarla come meglio desiderate. Siete individualisti? Lo sono anche la vostra smart city-coupé e la vostra smart cabrio.

(Catalogo accessori post-vendita & BRABUS tuning 2004)

 

 

 

Capitolo 1 – Nel quale sei il modo in cui lo fai

 

 

 

Open your mind.

(www.smart.com)

 

 

Smart è molto più di un prodotto o una nuova marca,

è una svolta, un nuovo modo di vivere.

 

It’s not what we do. It’s the way we do it.

(Smart libretto di istruzioni)

 

 

 

Sono nella mia intima essenza uno sfigato, un imbecille, un poveraccio. Nella mia zona di essenziale e zenitale centratura sono un coglione. Autentico. Dico questo in un’epoca di necessari bilanci. Quella del mio quarantacinquesimo anno in cui, per una specie di vortice del tempo, mi accorgo all’improvviso e per intero della mia età. Sono un coglione. Ho quarant’anni passati e forse ho passato più della metà della mia vita a non fare nulla. Oggi ho quarantacinque anni, una casa di imbarazzante cubatura e di invereconda mancanza di personalità. Nessun mobile, nessun divano, sedia o letto è stato scelto. Nessuna stampa o quadro è stato comprato con attenzione. Tutto ad oggi mi è passato di traverso, mi è scivolato di lato, mi ha urtato per caso. Amicizie occasionali, amori saltuari, parentele distratte.

Che cazzo campo a fare? A che pro ho vissuto? Sono domande dal tono grave ma legittime: chiunque alla mia età dovrebbe farsele. Così, tanto per fare un po’ il punto della situazione. Io me le faccio ma non trovo risposte confortanti. Riprendo in mano i libri del piccolo scaffale all’ingresso di casa. Pochi e scivolosi, sguisciano tra il vimini impagliato. Sono libri della scuola. Portano il mio nome e cognome segnati in giravolte e seguiti da parole e numeri in crescita. 3ª media, 4° ginnasio. Ho fatto il classico come qualsiasi altra cosa. Sono andato avanti con una costante mediocrità che non mi ha mai scosso, sbilanciato, né in un senso né nell’altro. Non ho mai sorpreso i professori. Ero atteso al poco. Le mie pagelle non evocavano neppure a parole future una possibile o augurata crescita. Ero quello. Non sarei potuto essere nulla di più e su questo assunto una quasi incontrastata convergenza. Matematica. Scienze. Latino e Greco. Italiano. Un mediocre spalmato. In questi anni non ho letto nulla o quasi. La mia biblioteca: Il pendolo di Foucault (non letto), Il nome della rosa (letto in parte), Se questo è un uomo (bellissimo!), Versetti satanici (lette le prime 20 pagine), I promessi sposi (bello, ma forse un po’ datato), Poesie di Prévert (le rileggo ogni tanto), Eva Luna di Isabella Allende (così così), Un mese con Montalbano di Andrea Camilleri (interessante, ma forse un po’ difficile). I libri smessi dalla scuola hanno ancora sovraccoperte di plastica trasparente e targhette. Gli altri l’adesivo della libreria sul prezzo. Feltrinelli, Mel bookstore. Regali. Libri ricevuti da parenti lontani, visitati nell’altrove meno angusto della mia piccola casa o fatti trovare sulla scrivania dell’ufficio nei primi anni della mia assunzione prima che cadesse nel vuoto la bonomia della colleganza di primo pelo. Soprattutto regali di parenti. Una genia sparsa nello stivale con una decisa persistenza ligure. Genova San Martino, Pegli, Sampierdarena, Vado ligure. Sono lì le persone che negli anni mi hanno abbracciato, anche se di rado, dicendo “come sei cambiato… erano anni che non ti vedevamo… ti ricordo così” e le mani segnavano improbabili mezzi metri.

Vivo a Roma da quasi dieci anni e dopo vari cambi di sede. Per una paradossale indecenza del caso mi sono trovato a fare carriera in una grande società. Sono entrato per intercessione di un mio parente influente e poi per comodità di assetto sono stato portato avanti assai. Decisive sono state le mie caratteristiche caratteriali. Non sono competitivo, non ho mai smesso la mediocrità di cui ho detto, non ho mai litigato con alcuno, non ho mai creato problemi né chiesto avanzamenti, non ho preteso promozioni. Sono un carrierista ideale: non voglio fare carriera.

Dopo varie case in affitto, alla morte di mia madre – mio papà morì di tumore ai tempi della scuola – utilizzando una piccola eredità, ho comprato una piccola casa di 30 metri quadri (commerciali) in una piccola propaggine tra periferia e centro della città: tutto in proporzione. È un quartiere di binari e facce multicolore, un paese incastrato nella fretta disattenta della città. Pur nella familiarità della zona se voi chiedeste ad una qualsiasi persona del mio angusto vicolo avreste la sorpresa – per me non lo sarebbe – di scoprire a che punto possa arrivare la mia evanescenza. Chi arriva in questo reticolo di case basse e scalpiccio di piedi dice “bello qui, si conoscono tutti” senza immaginare quanto io possa passare inosservato. Alle volte mi sono trovato quasi fantasticamente a pensare di non essere altro che un fantasma. Una specie di nessuno in alone. Un’ombra, una presenza. Certo, forse qualcuno ammetterebbe di avermi visto ma non saprebbe dire se abito qui o qui abbia un ufficio, una fidanzata, un amico, un parente.

Pensare a Luna. Non è un pensiero persistente. Non è un’ossessione. È il modo che ho adesso per attaccarmi alla vita nella sua forma essenziale di bisogno e di piacere, un modo facile, il modo più facile che conosca per provare un interesse alle cose, adattabile, sostituibile. Per farla breve, mi corico nel letto e a luci spente mi masturbo pensando a lei. Di mio ci metto solo un po’ di fantasia, lo sforzo di ricordare alcuni dettagli della persona, e il movimento della mano. Un andamento lento, costante, non troppo stringente e cadenzato al ritmo del ricordo, della fantasia. Un’operazione che potrà durare, che so, minuti? Quindici? Non so, dipende dal ricordo, da quanto impiego a ricreare una situazione minimamente realistica e stimolante davanti alla mia mente. Se fatico a mettermi Luna a favore di vita ci impiego di più. Forse trenta.