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Robert Walser
Di Carvelli (del 07/02/2004 @ 09:40:35, in diario, linkato 1158 volte)

Che cosa dire di Robert Walser se non che è una delle più belle scoperte di questi anni. Uno scrittore classico, antico e assoluto. E quando uno scrive in questa assolutezza può anche rischiare di suggerire banalità ma così non è. Compro “Pezzi in prosa” (Quodlibet, casa editrice maceratese di cose pregevoli) e aggiungo alla mia collezione adelphiana per lo più (Walser è uno degli scrittori del team tanto da finire in Adelphiana, rivista studi di casa-Calasso, già da subito) un altro capitolo della saga della brevità di questo scrittore svizzero morto passeggiando nella neve un 25 dicembre. Passeggiare (fino alla morte). Parola-chiave (parola-destino) dell’esegesi di questo sfortunato internato di cui conservo come libri di rilettura le raccolte “La rosa” e “La passeggiata”. Mi permetto di copiaincollare il bellissimo “Lo scrittore” tratta dal sito altrettanto interessante www.zibaldoni.it che contiene altri due brani importanti dello scrittore svizzero. Questo è da tenere a memoria.

Lo scrittore

Lo scrittore scrive su ciò che prova, vede e sente, oppure su ciò che gli viene in mente. Solitamente ha molti piccoli pensieri che non può affatto utilizzare, e questa è una circostanza che spesso lo porta alla disperazione. Gli accade d'altro canto di avere in mente molte cose utilizzabili, ma può succedere che il suo capitale resti inutilizzato per anni ed anni, perché non trova o perché nelle sue vicinanze non c'è nessuna persona benintenzionata che gli faccia disinteressatamente notare la sua ricchezza nascosta. Un bel giorno, ad alcuni stimati redattori di giornali può venire in mente di esortare un simile scrittore ad inviare una prova della propria arte. In un simile caso, lo scrittore si sente straordinariamente felice, ha sufficienti motivi per mostrare una gioiosa espressione del volto, e si dispone subito ad attendere nella maniera più precisa possibile ai desideri che hanno bussato alla sua porta. A questo scopo, si gratta anzitutto la fronte, poi si passa la mano tra i capelli, che possiede in enorme quantità, si sfiora il naso con il dito indice, forse si graffia anche, si mordicchia le labbra, assume un atteggiamento energico e nello stesso tempo apparentemente freddo e distaccato, pulisce la penna, siede al suo vecchio tavolo, sospira e comincia a scrivere.

                                                   

                                                     

 

 

 

La vita di un vero scrittore ha sempre due lati: un lato in ombra e un lato luminoso. Ha due posti: un posto a sedere e un posto in piedi. Ha due classi: una prima ma anche una deprimente quarta classe. Il mestiere dello scrittore, all'apparenza così allegro ed elegante, può anche essere molto duro, talvolta molto noioso, e spesso può addirittura essere pieno di pericoli. La fame e il freddo, la sete e l'aridità, l'umido e la siccità hanno notoriamente fatto parte, in tutte le epoche storiche e culturali, della mutevole vita dell'"eroe della penna", e sarà probabilmente così anche in futuro. Ma è altrettanto noto che ci sono scrittori che fanno un sacco di soldi, si costruiscono ville a forma di castello in zone lacustri e vivono di buonissimo umore fino alla fine dei loro giorni. Beh, se lo saranno onestamente guadagnato...

                                                 

Lo scrittore, così come deve essere, è uno che fa la posta, un cacciatore, un predatore, uno che cerca e trova: insomma, una specie di essere vestito di cuoio che sta sempre a caccia. Fa la posta alle cose che succedono, si mette a caccia delle stranezze del mondo, cerca lo straordinario e il vero, e aguzza le orecchie quando crede di udire dei suoni che annunciano non già l'avvicinarsi al galoppo di indiani a cavallo, quanto piuttosto l'avvicinarsi di nuove impressioni. È sempre sul chi vive, sempre pronto ad assalire di sorpresa. Se ad esempio vede passeggiare un'innocente e inconsapevole beltà femminile, ecco che lo scrittore sguscia fuori dal suo nascondiglio e infilza il cuore della signora che passeggia da sola con la punta acuminata della sua penna intinta nel terribile veleno della capacità di osservazione. Lo scrittore, di regola, è però in grado di dominare anche ciò che è odioso e terrificante, e non si sottrae nemmeno alla violenza descrittiva e poetica nei confronti dell'infanzia. Per la qual cosa, com'è noto oggi più che mai, viene punito col carcere. Lo scrittore, in qualsiasi tempo e occasione, ha sempre ficcato dappertutto il suo naso avido e curioso, e non smette di annusare. In questo, esattamente in questo, si ritiene generalmente che consista il compito più nobile di un solerte e coscienzioso scrittore. Tiene le narici costantemente aperte, è uno che fiuta e che annusa, e considera come un dovere il fatto di affinare fino alla massima perfezione le capacità sensoriali del suo naso. Uno scrittore non sa tutto. Soltanto gli dei, com'è noto, sanno tutto. Lo scrittore, però, sa qualcosa di tutto, e intuisce delle cose che nemmeno l'imperatore in persona si immagina. Approdando su questa terra, lo scrittore ha ricevuto in dote dei cartelli segnaletici, che si trovano nella sua testa e gli indicano sempre la direzione verso la quale devono volgersi i pensieri, se si vuol riuscire ad osservare ciò che è pieno di presentimenti o che addirittura è già quasi indefinibile. Lo scrittore si occupa di tutto quanto al mondo è degno di essere conosciuto e imparato, ed è sempre profondamente convinto che la cosa sia di giovamento per se stesso e per gli altri. Non appena ha provato un sia pur lieve arricchimento interiore, si crede nell'obbligo di mettere nero su bianco questo incremento e questo ampliamento. E per giunta lo fa immediatamente, senza lasciar passare nemmeno un'ora. Questa io la trovo una bella cosa, perché mostra come lo scrittore sia un uomo mosso da una sincera tensione verso il bene, un uomo che troverebbe ingiusto accumulare delle esperienze senza comunicarle nemmeno in minima parte al mondo che lo circonda. Di conseguenza, è il contrario di uno spilorcio che si arraffa tutto. Quale uomo, se non lo scrittore, si sente un servitore dell'umanità e un volenteroso amico dei poveri in questo secolo dominato dal carrierismo e dalla ricerca del piacere? E ne ha le sue buone ragioni, perché si rende conto che nel momento in cui dovesse cominciare a pensare solo al proprio tornaconto, il suo desiderio di creare qualcosa di vitale si spegnerebbe. È un misterioso qualcosa che lo spinge a dimenticare se stesso, un qualcosa che gli sta continuamente attorno. Si sacrifica, perché in fondo che cos'ha dalla vita? Quando gli altri ridono, al punto tale che arrivano perfino a piangere belle e chiare lacrime, ecco che lo scrittore se ne sta appartato nella penombra, tutto preso dal senso del dovere, che gli sussurra: Studia questa allegria, imprimi a fondo nella tua mente i toni di questa gioia, di modo che, quando tornerai a casa, tu li possa descrivere e dipingere con le parole!

                                                

Spesso, nella vita, lo scrittore si presenta come una cosiddetta persona ridicola, e ad ogni modo è sempre un'ombra, è sempre discosto; mentre gli altri godono dell'indicibile piacere di trovarsi sotto le luci, lo scrittore svolge invece il proprio ruolo quando tiene in mano la sua operosa penna, e quindi di nascosto. È questa pressappoco la scuola dove, tra mille dolorose offese e privazioni, ha imparato la modestia. Nel rapporto con le donne, ad esempio: lo scrittore, che volge seriamente i propri sforzi verso un unico fine e che si sente del tutto compreso nel proprio servizio, si vede costretto ad una prudenza che spesso ha effetti umilianti per la sua immagine di uomo. Adesso comincio a capire perché non si ha paura di definire lo scrittore un "eroe della penna". Questa definizione sarà forse banale, però è vera. Lo scrittore, con le proprie sensazioni, vive tutto: è carrettiere, oste, attaccabrighe, cantante, calzolaio, dama da salotto, mendicante, generale, apprendista di banca, ballerina, madre, figlio, padre, mentitore, creatore, amante. È il chiaro di luna, è il mormorio della fontana, è la pioggia, il caldo nella strada, la spiaggia, la barca a vela. È l'affamato e il sazio, lo spaccone e il predicatore, il vento e il denaro. Quando scrive, mette il proprio tesoro sul tavolo, e lei (una contessa polacca) conta il denaro. Lo scrittore è il rossore sulla guancia della donna che si accorge di amare, è l'avversione che prova una persona grettamente dominata dall'odio. In breve: lo scrittore è tutto e deve essere tutto. Per lui c'è solo una religione, solo un sentimento, solo una visione del mondo, e questa consiste nel nascondersi con amorevole attenzione nella visione del mondo, nei sentimenti e nella religione degli altri, forse di tutti. Ogni volta, quando scrive la prima parola, non ha più nulla a che fare con se stesso; e quando ha dato forma alla prima frase, non si riconosce più. Penso che tutto questo glielo si possa consigliare.

(Traduzione di Mattia Mantovani - da Berliner Tageblatt, 21 settembre 1907, ristampato in Feuer, di Robert Walser, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 2003. Copyright: Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main - Carl Seelig Stiftung, Zuerich, 1978)