di Gianluca Lo Vetro
Ha calato le braghe anche il karaoke di Fiorello. E il più familiare degli intrattenimenti si è trasformato in pornaoke, un nuovo gioco dove i concorrenti non mimano più le canzoni di successo, ma i gemiti dell’orgasmo di un film porno. Sempre una prova di ugola, certo, non casta ma in sintonia con il porno che avanza. Già, anche dai manifesti pubblicitari della ragazza in mutande si leva l’invito esplicito: “perché non ci provi?”. Roba da far arrossire il vecchio, romantico, “chi mi ama mi segua”. Nel frattempo, per la par condicio delle provocazioni, a uso e consumo del gentil sesso negli gli spot del gelato da passeggio il “cuore di panna” abdica in favore di un'altra parte anatomica esclusivamente maschile. Da guastare, comunque, per via orale. Altro che fascia protetta e scandali circoscritti al segreto delle alcove: Il porno è di massa per dirla parafrasando il titolo del libro di Pietro Adamo (ed. Cortina) che analizza scientificamente l’evoluzione dell’hard dagli Anni ’70 ai recentissimi, incredibili, sviluppi. Confermati dai dati dell’ultima indagine Eurispes sul "consumo" delle luci rosse, che per valore supera l’industria delle armi: fate l’amore, non fate la guerra.
L'anno scorso il settore ha incassato 1101 milioni di euro contro i 984 dell'anno precedente e gli 895 del 2002, complice la diffusione delle pay tv che garantiscono una maggiore privacy, con un giro di affari di 247 milioni di euro. Un dato sorprendente per un'Italia che sembrava aver superato l'era di Cicciolina in Parlamento, per mettersi in fila a omaggiare la salma del Papa. Fatto sta che anche l’evoluzione dei telefonini in videofonini ha incentivato l’ingrossamento dell’affare. I giochini da scaricare sul microschermo, cinque minuti di pose hard liofilizzate in dimensioni millemetriche al costo di due euro, hanno fruttato 140 milioni di euro grazie a 70 milioni di connessioni. Il porno corre anche senza fili. A sdoganare un genere che è uscito allo scoperto nel ’69 alla prima fiera del porno di Copenaghen, ha certamente contribuito Gola Profonda: film dall’eloquente titolo interpretato nel ’72 da Linda Lovelace, divenuto un cult del costume. Tanto, che sta suscitando molto interesse il documentario Inside Deep Throat prodotto da Brian Grazer per la regia di Fenton Bailey e Randy Barbato. Il film ricostruisce il caso Gola Profonda: girato in sei giorni, costato 25 mila dollari e diventato uno dei dieci campioni assoluti del grande schermo con 600 milioni d’incassi. Ma soprattutto, l’opera che tra infinite polemiche ha inaugurato la cosiddetta “golden age del porno”.
Alla faccia della protagonista, Linda Lovelace, che dopo le riprese della pellicola-scandalo intraprese una vera e propria crociata contro l’industria vietata ai minori, accusandola di nefandezze d’ogni sorta. Chissà cosa penserebbe l’attrice scomparsa di recente dell’ultima frontiera raggiunta dal “porno quotidiano”? Secondo la psicoterapeuta Gianna Schelotto, «si fa sempre meno sesso e lo si guarda sempre di più». Un po’ come nel detto “can che abbaia non morde”. Ma in questa massificazione del proibito c’entra anche la comunicazione allargata in Internet. Là, dove ciò che prima si viveva con vergogna in silenzio e solitudine, ora viene messo in comune in quella che Roberto Carvelli ha definito nel libro La comunità porno (ed. Coniglio). C’è di più. Visto che “la patata tira”, come insegna uno degli slogan hot di largo consumo, tutti i settori di un mercato in cerca di numeri cavalcano la provocazione. Persino la moda, massima espressione della raffinatezza, è ricorsa al porno-chic con la prima boutique a luci rosse di Sonia Rykiel, i copricapezzoli di John Richmond indossati da Janet Jackson e i gioielli fallici di Vivienne Westwood. Mentre l’ennesima linea di lingerie, Madame V, si annuncia come una collezione di attrezzi per ogni perversione. E allora, perché un potente detersivo non dovrebbe attrarre le attenzioni femminili con vibranti allusioni falliche? Inutile cercare risposta nelle leggi che chiudono un occhio di fronte a tutto ciò che alimenta il mercato. Il cosiddetto “buon costume” è forse il solo ambito nel quale l’emancipazione del vissuto fa più testo del diritto scritto. E il comune senso del pudore sembra ormai assuefatto alla pornografia. Al punto che quest’ultima pare uscita dalla clandestinità. Questa è la vera novità. I pornografi di un tempo, portabandiera della liberazione sessuale, oggi sono gli uomini marketing che hanno banalizzato la provocazione in prodotto di massa. Trasformando la pornografia in quella che Pasolini definì «un’ansia conformistica di essere liberi».