Utilizzo un poco di spazio di oggi per fare professione di fede. Fede anche in Kafka e nella sua prosa conturbante. Il miglior estensore di metafore moderne e ce n'è di contemporanee. Ma la linea che segue lo scrittore di Praga è di certo capitale. Vuoi perché in un'era di mezzo, un medio evo di sicuri sviluppi a cui non possiamo non guardare con attenzione e riconoscenza. Kafka. Oh Kafka. Leggevo recentemente un racconto. UN DIGIUNATORE. Un racconto del febbraio 1922. E a ripensarci. Oggi. Non in questo post-bombe e caccia ai responsabili (ovunque essi siano), né in questa deriva di fanatismo. O non solo in quello. Il fanatismo a cui faccio riferimento io mi circonda. Ci circonda e non è intonato dai muezzin. Punto. Cercare di essere superumano è un po' il credo e la mission (per dirla in una trasversalità economica) di ogni religione. Ma quale è il super? E siamo sicuri che non sia un sub? Io preferisco AL MEGLIO DI più che un sopra e un sotto. Ma sono circondato anche nella serena atmosfera di un luogo di lavoro o di una amicizia da una deriva verso il super. Il preteso super. Un super che fa essere sub. Sub umani. Aggressivi. Sterminatori e portatori di culture superiori e di stragi (non al tritolo, no). In questa mattina mi domando se voglio essere un digiunatore al soldo di un organizzatore di digiuni o del pubblico. Un artista di magrezza seppellito dalla mia stessa lotta alla resistenza. E ha senso privarsi di cibo nella facilità di un poco appetito per le pietanze? Essere super-umani non ci farà diventare sub-umani? Non sarà meglio essere umani, molto umani e non digiunare una morte ma mangiare una vita senza per questo dilaniarla?
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