Finalmente alla fine de L'Amore molesto di Elena Ferrante che è un bel libro davvero e si fa apprezzare ancora di più nella bravura del regista che ce lo ha fatto conoscere al cinema, Martone. A ritroso non si può non dire trattarsi di un adattamento superbo. Ovvio a leggerlo così, l'occhio della fantasia non può che adattarsi alle immagini (adattamento di un adattamento). Ma questa non è una prova è un dato di fatto magari anche facile, sbrigativo. Il libro. E' l'ossessione di una storia, l'ossessione della storia e la storia di un ossessione. Quella di Amalia (la madre) indotta, quella di Delia (la figlia) rimossa. Quindi è anche la storai di un confronto imbarazzante e stimolante con la dea dell'infanzia, la genitrice che qui è bella e scandalosa ma più potenzialmente che veramente. Ma si sa che la mente ha più valore dei fatti, a volte e così Amalia è la donna che ha visto Delia che finirà per somigliarle in un transfert malato. Ma Delia disegna fumetti come il padre quadri e Delia è sola come lo è Amalia (che scelta azzeccata quella dei due nomi così liquidamente consonanti e antichi ma anche di giusta interpolazione generazionale!!!). Delia è Amalia e infatti è destinata alla morte come la madre. Due zoccole dice il padre che confessa di augurargli la morte. Nel caso di Delia quasi gliela legge sul volto. Come che sia il seguito potenziale del libro (oltre la scoperta identità delle due donne che segna l'epilogo) Delia è morta (nella madre Amalia)... Il libro su Napoli sbandierato nella IV non è poi così esposto, evidente. E' un libro matrilineare e un libro su morte e ossessione. Quanto prima citerò le frasi che ho sottolineato. Mi piace di sicuro il momento in cui Delia definisce la lingua di Caserta (l'antagonista del padre) una lingua della fantasia. Lo svelamento delle violenze nel finale non è sicuramente la parte più efficace mentre è straordinario il racconto dell'incontro col figlio di Caserta a cui Delia è legata per analoga connessione mentale e con una sanità sciatta che la riappacifica nel clima della morte...la salvezza insomma del poco (l'uno per l'altra in un viceversa perfetto per differenza).
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