\\ Home Page : Articolo : Stampa
Storia/Storie
Di Carvelli (del 16/06/2008 @ 09:13:31, in diario, linkato 798 volte)

Mentre camminiamo dice: “Senti”, e poi il mio nome, e io aspetto che mi dica che lei è qui e anche che tra noi è finita. Però non lo fa, e io ho la sensazione che lui in effetti intendesse dirmi qualcosa del genere, almeno dirmi che lei era lì, e che poi per qualche motivo abbia cambiato idea. Invece, dice che tutto quello che è andato male stasera è stato per colpa sua e che gli dispiace. Sta con la schiena appoggiata alla porta di un garage e il viso alla luce e io sto di fronte a lui con le spalle alla luce. A un certo punto mi abbraccia, così all’improvviso che la cenere della mia sigaretta si sgretola contro la porta del garage alle sue spalle. So perché siamo qui fuori e non nella sua stanza, ma non glielo chiedo finché non ci siamo calmati del tutto. Poi dice: “Non c’era quando hai telefonato. È tornata dopo”. Dice che l’unico motivo per cui lei è lì è che ha un problema e lui è l’unica persona con cui ne può parlare. Poi dice: “Non capisci, vero?” Torno a casa dal lavoro e c’è un suo messaggio: che non viene, che ha da fare. Richiamerà. Aspetto che si faccia sentire, poi alle nove vado da lui, ma non è in casa. Busso alla porta del suo appartamento e poi a tutte le porte dei garage, non sapendo quale sia il suo – nessuna risposta. Scrivo un biglietto, lo rileggo, scrivo un altro biglietto e glielo appiccico alla porta. A casa sono irrequieta e l’unica cosa che riesco a fare, anche se avrei molto da fare, visto che domattina parto, è suonare il piano. Telefono di nuovo alle undici meno un quarto e lui è a casa, è andato al cinema con la sua ex ragazza, lei è ancora lì. Dice che richiamerà. Alla fine mi siedo e scrivo sul mio quaderno che quando lui mi chiamerà, dopo, o verrà da me oppure non verrà e io mi arrabbierò, e quindi mi ritroverò o con lui o con la mia stessa rabbia, e questo potrebbe anche andar bene, visto che la rabbia è sempre una gran consolazione, come ho scoperto con mio marito. E poi continuo a scrivere, in terza persona e al passato, che chiaramente lei aveva da sempre bisogno di un amore, foss’anche un amore complicato. Lui richiama prima che io faccia in tempo a scrivere tutto. Quando chiama, sono passate da poco le undici e mezza. Litighiamo fin quasi a mezzanotte. Tutto quello che dice è contraddittorio: per esempio, dice che non ha voluto vedermi perché voleva lavorare e ancor di più perché voleva stare da solo, ma non ha lavorato e non è stato da solo. Non c’è modo di fargli riconciliare anche solo una delle sue contraddizioni e quando questa conversazione comincia ad assomigliare troppo a molte altre avute in passato con mio marito, lo saluto e riattacco. Finisco di scrivere, anche se ormai non sembra più vero che la rabbia sia di alcuna consolazione.


Lo richiamo cinque minuti dopo per dirgli che mi dispiace di tutto questo litigare, e che lo amo, ma non risponde nessuno. Chiamo di nuovo cinque minuti dopo, pensando che magari è andato in garage ed è tornato. Penso di prendere la macchina e andare di nuovo da lui e cercare il suo garage per vedere se è lì dentro a lavorare, perché è lì dentro che tiene la scrivania e i libri ed è lì dentro che va a leggere e scrivere. Io sono in camicia da notte, è mezzanotte passata e la mattina dopo devo partire alle cinque. Ciononostante mi vesto e mi faccio i due chilometri che mi separano da casa sua. Ho paura, quando arriverò da lui, di vedere davanti alla casa altre macchine che prima non avevo visto e che una di esse appartenga alla sua ex ragazza. Entrando nel vialetto vedo due macchine che prima non c’erano e una di esse è posteggiata il più vicino possibile alla porta, e penso che c’è lei. Scendo e faccio il giro della palazzina fin sul retro, dove dà il suo appartamento, e guardo dalla finestra: la luce è accesa, ma non riesco a vedere niente con chiarezza perché le veneziane sono semiabbassate e il vetro è appannato. Ma le cose dentro la stanza non sono uguali a come erano qualche ora fa, e prima i vetri non erano appannati. Apro la porta esterna a zanzariera e busso. Aspetto. Nessuna risposta. Lascio sbattere la porta a zanzariera e vado a controllare la fila di garage. Adesso, mentre mi allontano, si apre la porta alle mie spalle ed esce lui. Non riesco a vederlo bene perché nel vicoletto accanto alla porta è buio e lui indossa abiti scuri e quel poco di luce che c’è è alle sue spalle. Mi si avvicina e mi abbraccia senza parlare, e io penso che se non parla non è perché stia provando chissà che ma perché si sta preparando quello che dirà. Mi lascia andare mi gira attorno mi precede verso il punto in cui sono posteggiate le macchine davanti alle porte dei garage.

Cerco di ricostruire la cosa.
Allora, sono andati al cinema e poi sono tornati a casa sua e poi ho telefonato io e poi lei se n’è andata e lui ha richiamato e abbiamo litigato e poi io ho richiamato due volte ma lui era uscito a prendere una birra (dice) e poi io ho preso la macchina e sono andata lì e nel frattempo lui era tornato con la birra e lei pure era tornata e lei era in camera sua e di conseguenza siamo rimasti a parlare davanti alle porte dei garage. Ma qual è la verità? È davvero possibile che sia lui che lei siano tornati in quel breve intervallo tra la mia ultima telefonata e il mio arrivo a casa sua? O forse la verità è che mentre lui mi telefonava lei aspettava fuori o in garage o in macchina e che poi lui l’ha fatta entrare di nuovo, e che quando il telefono ha squillato per la mia seconda e terza chiamata lui l’ha lasciato squillare senza rispondere perché non ne poteva più di me e dei nostri litigi? O forse la verità è che in effetti lei se n’è andata e in effetti è tornata dopo ma invece lui è rimasto e ha lasciato squillare il telefono senza rispondere? O forse l’ha fatta entrare e poi è uscito a comprare una birra e intanto lei lo ha aspettato lì e ha ascoltato il telefono che squillava? Quest’ultima è la meno verosimile. E comunque non credo che ci sia stata alcuna spedizione per la birra.
Il fatto che lui non mi dica sempre la verità certe volte mi fa dubitare che sia sincero, e allora mi sforzo di capire da sola se quello che mi dice è vero o no, e a volte capisco che non è vero e a volte non lo so e non lo saprò mai, e a volte solo per il fatto che lui me lo continua a ripetere mi convinco che è vero perché non credo che ripeterebbe tanto spesso una bugia. Forse la verità non è importante, però vorrei saperla anche solo per poter giungere ad alcune conclusioni riguardo ad alcune domande, quali: se è arrabbiato con me o no; se lo è, allora quanto; se la ama ancora o no; se sì, allora quanto; se mi ama o no; quanto; quanto è capace di ingannarmi nei fatti e dopo i fatti a parole.

 

Questo è il primo racconto della raccolta Pezzo a pezzo di Lydia Davis  (Minimum fax - Trad. Adelaide Cioni). Ve ne avevo già parlato. Il racconto si chiama Storia. Mi piacerebbe che ogni tanto questo racconto possa essere riletto - magari nella sua integralità - quando le cose (le storie) vanno a pezzi come succede alla tazzina in copertina. Perché prima o poi le cose vanno a pezzi e rimetterle su non è affar da poco. Perché è l'affare della vita: un affare che non sempre ci piace. Qual è l'affare che non ci piace? Rincollare? Ritrovare i pezzi? Bere da una tazza sbeccata? Comprarne un'altra ma conservarla?