Un racconto lungo una metro
Un libro preso a caso da una libreria non tua. Un libro per un viaggio. O, meglio: un libro un viaggio. Un libro non tuo e che, quindi, dovrai restituire. Un libro con già delle indicazioni di lettura. Sottolineature, frecce. Scelgo di leggere quello più sottolineato. Il titolo della raccolta è "Per grazia ricevuta", l'autrice Valeria Parrella. Per ricevere una grazia: sarebbe un titolo migliore per questa mattina incerta ma provo a guardare al futuro con certezza più che speranza. Ma PGR era anche il titolo di un vecchio racconto del mio primo libro oltre - meglio - ad essere il titolo di un bel disco. Ma il racconto si chiama "L'amico immaginato" e dura una metro. Da una fermata all'altra. Salgo all'icipit e scendo all'explicit. Chissà se ricorderò il racconto o il viaggio o questo viaggio racconto. O la pecora in formaldeide con cui mi connetto e che mi ricorda il bellissimo MADRE di Napoli visto (visto...tre quattro mesi fa?). Per ora mi perdo nell'immaginazione degli amici, nelle amicizie immateriali. Nell'immaterialità dell'incontro. Chissà se sono l'amico immaginario di qualcuno?Che mi ricordo lo sono stato. Che forse lo sono ancora. Provo a chiedermi se questa concentrazione sulla pagina mi esclude dalla consapevolezza di uno sguardo (terzo? il secondo sarebbe quello mio sul racconto?). Mi ferma alla considerazione del bisogno della terzietà. Il due non conclude, oppone. Forse serve un tre (immateriale, immaginario, mistico, religioso). Serve un ancora, serve un in più. Forse. Ma il racconto dura una metro e questi pensieri non finiscono. Forse neppure si muore. Forse da qualche parte qualcuno un giorno sceglierà la nostra vita per indossarla e prima l'avrà osservata come noi questa pecora di Hirst. Forse no.
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