Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Un film coi delfini, la spiaggia di sabbia bianca, i capelli coi boccoli biondi. La musica giusta, il piatto sbagliato. Il cane che abbaia. Una stanza con la giusta luce. Buia. Sei volte la parola "amore". Sei volte (in risposta) la stessa parola. Un lessico che sembra inventato: cadmio, tungsteno, flottare. Ancora silenzio: il giusto silenzio per dire quanto il tempo si spreca per fare di un discorso una serie di azioni compiute. O da compiere. E poi basta.
Visto C'era una volta in Anatolia. Film di cui ho letto: benissimo (Grassi), bene (Cerami), male (Escobar). Dei giudizi mi sono fatto la seguente impressione: il film turco piace per l'idea e per la tenuta di scrittura. Uno sceneggiatore non può non apprezzare la grande capacità del regista di tenere con poco o nulla lo spettatore ancorato alla sedia. Non può piacere a un critico puro per la provocazione della dilazione della soluzione, una sorta di formalismo dell'allungamento (a latere delle regole della suspance). Un critico "ideologico" non può non spingere il suo entusiasmo sulle vie del film "sociale" sull'impianto molto rivisitato del genere poliziesco. Nessuna noia, è vero, ma il film turco è complessivamente un po' debole pur nell'apprezzabile stile di ripresa (bellissima spesso la fotografia, anche quella difficile notturna e in campo lunghissimo) e nel disegno originale della vicenda. Non posso non trovarmi però in difficoltà quando Escobar (per il quale voi conoscete la mia ampia stima) dice che l'opera è in levare. Io credo che le grandi opere siano in levare o in aggiungere (anche se detta così parrebbe una diminutio, la seconda). Molti grandi film o libri sono nel non risparmio di lingua e di immagini. Non credo che si possa usare in forma di categoria estetica la maggiore o minore disposizione all'essenziale. Né il silenzio può essere un termine della questione. Bergman e Tarkovskij no perché troppo silenziosi? Tarantino sì perché verboso? Insomma se c'è un motivo per cui C'era una volta in Anatolia mostra limiti non può essere rintracciato nello stile accumulativo quando poi il tipo di accumulazione che propone non ha nulla del barocco. Insomma - e provo a concludere - esercitare l'idea di una scrittura dilatata rischia di apparire formalismo. Se l'esercizio scompare rimane quel che è un'opera più o meno riuscita ma conclusa. Credo che al film turco sia rimasta in vista la traccia dell'esercizio (non mi stupisce che la prima versione fosse di un'ora più lunga) come un bozzetto preparatorio a matita che ora che vediamo la tela per intero e segmento per segmento un po' ci fa capire che il pensiero dell'esecuzione a volte ha avuto più attenzione dell'esecuzione. E un po' ci disturba continuarne a vedere spuntare la matita sotto un giallo troppo leggero per coprirla.
Di tutti i modi con cui un corpo dilata la distanza nel tempo e nello spazio tra sé e la cosa desiderata tu hai scelto quella più efficace. Hai tessuto a lungo una coperta che tenevi sulle gambe per poi scoprire che la misura di spazio che avrebbe coperto una volta stesa avrebbe allontanato te dalle cose che amavi o avresti amato. L'audace scoperta - scoperta quando ormai la tela era dispiegata alle tue spalle - ti ha cancellato dagli occhi quel che prima ti stava intorno e persino il punto da cui prima osservavi tutto. Un punto preciso - per quanto fisso e parziale - che ora ti si era cancellato dalla vista. Impercettibili hai osservato le cose che ora avevi intorno senza vedere quella sedia né quello che da quella avevi visto mentre tessevi. Il dubbio è se sia stato un errore lavorare così a lungo o stendere quella coperta così tardi. Se sia stato un bene fare tanto lavoro per poi scoprire che ti avrebbe portato in un punto così lontano. Un punto da cui, dilatata, la tua vita sarebbe sembrata diversa. Non più quella che aveva tessuto ma quella tessuta. Una vita lungamente abituata al lavoro, inutilmente riflessa in un tempo-spazio divenuto diverso da quello immaginato mentre si dilatava e si dipanava.
Vi linko il comunicato stampa delal presentazione di passeggiate d'autore che si è tenuta a Roma l'11 giugno scorso e che mi vedrà coinvolto il 29 settembre con un giro di Città Giardino a Montesacro.
- C’è un nuovo modo di passeggiare a Roma. E’ una passeggiata alla scoperta deisegreti e delle leggende che solo alcuni conoscono e che, dal 23 giugno, verranno svelati a tutti noi. Si chiamano “Passeggiate d’autore”, e da Milano, dopo due anni di successi e repliche, il 23 giugno arriveranno anche a Roma. Sabato mattina, dalle 11 alle 13, due ore di escursione metropolitana a caccia di tracce, fantasmi del passato, memorie perse, condotti da una guida d’eccezione: uno scrittore. La Pluriversi e la Verba sono lieti di invitarvi a partecipare alla prima passeggiata d’autore a Roma, che vedrà come inauguratore d’eccezione Renzo Paris, che ci guiderà alla scoperta della Roma di Apollinaire.
Passeggiate d'Autore - Roma sarà presentata il 21 giugno alle ore 20 presso il Circolo degli
Artisti (via Casilina Vecchia, 42). All'appuntamento, che prevede la presentazione della passeggiata del 23 giugno e del cast della prossima stagione (settembre 2012- giugno 2013), seguirà un reading a cura di alcuni tra gli scrittori di maggiore spicco del panorama letterario romano. Tra loro: Renzo Paris, Aurelio Picca, Attilio Fontana, Gaja Cenciarelli, Frank Solitario, Roberto Carvelli, Philomene Gattuso, Laura Costantino.
Sponsor della conferenza e della serata le aziende vinicole Quaquarini, Tunia e Ancilla Lugana.
La manifestazione vede come partner le librerie La Feltrinelli e la rivista Satisfiction.
Sponsor ufficiale di “Passeggiate d’Autore” Subway Letteratura.
Contatti:
Paolo Melissi 349.5712336
pluriversi@gmail.com
Veruska Armonioso 380.3488975
agenzialetterariaverba@gmail.com
http://passeggiatedautore.blogspot.it/
Come lo sapeva questo tabaccaio sconosciuto che lì dove andavo mi sarebbe servito un accendino controvento? Come ha capito (da cosa) che acquistavo sigari da viaggio e andavo dove infuria la bufera e la carta brucia male (figuriamoci il tabacco)? E' questo piccolo anticipo di vento il gesto che non chiede; il regalo. Il gesto che riceve. Una folata che verrà.
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