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Di Carvelli (del 28/04/2014 @ 14:06:42, in diario, linkato 1178 volte)
Pubblico qui la mia introduzione al libro di Marco Marcocci "Missih. Un alieno sulla Terra alla scoperta della finanza inclusiva" (pp. 104, Ecra, € 10,00, ISBN978-88-6558-088-2). Per chi fosse interessato: migrantiebanche@yahoo.it
“Ogni uomo è ricco in funzione delle cose di cui può fare a meno”.
Porto questa frase stampata in mente. È di Henry David Thoreau,
uno dei padri del radicalismo americano, che ha scritto praticamente
un reality ante litteram e solitario. A Walden (località che
dà titolo al suo libro, il cui primo capitolo non casualmente si intitola
“Economia”) ha dimostrato a sé e al mondo che per vivere
c’è bisogno non solo di meno di quel che si pensa ma di molto di
meno. Ha dimostrato con la vita e sulla carta che gran parte di
quello che riteniamo necessario è trascurabile e che, spostando
l’asse della necessità verso la sobria sussistenza, si può dire no a
molti surplus ottocenteschi.
Il nostro rapporto col denaro – oggi più che allora – soggiace a
leggi del consumo sempre più influenti o, addirittura, stringenti.
Tutto questo ha determinato una nuova distinzione di classi (e di
Paesi) e con essa nuove povertà.
Il libro di Marco Marcocci – non nuovo alla rassegna e allo studio
delle forme della finanza “buona e giusta” – parte da premesse
diverse, per così dire ex post. In questo agile saggio fa ripercorrere
al suo extraterreste flaianesco tutte le pratiche dell’inclusività
economica e finanziaria.
Esiste un modo? Si può praticare una via della sobrietà del denaro?
Si può riuscire a coniugare il benessere personale con l’attenzione
alle povertà? Può il denaro rendere partecipi del suo scambio
e della sua circolazione anche chi meno può, per ragioni di
sviluppi personali e storici diversi?
Il sì che diciamo insieme a Marcocci e al suo Missih si declina
attraverso riusciti esempi di solidarietà economica. Praticata
10 > M. Marcocci Missih. Un alieno sulla Terra alla scoperta della finanza inclusiva
dall’Ecuador al Togo, dall’Islam all’India. Alla base ci sono le leggi
dell’economia che conosciamo dagli albori del nostro pensiero,
così come dal Vangelo e dalla parabola dei talenti che si conclude
con la reprimenda del servo fannullone che restituisce il suo senza
vantaggi (diversamente da quelli che avevano messo a frutto, raddoppiandoli,
i loro 2 e 5 talenti) e fa dire al suo padrone: “Servo
malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e
raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro
ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse.
Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché
a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non
ha sarà tolto anche quello che ha” (Matteo 25, 26-29).
Nei termini della “semina” è necessario non guardare tanto al
seme in sé, ma alla terra dove esso cade o viene messo a dimora:
“Ascoltate. Ecco, uscì il seminatore a seminare. Mentre seminava,
una parte cadde lungo la strada e vennero gli uccelli e la divorarono.
Un’altra cadde fra i sassi, dove non c’era molta terra, e subito
spuntò perché non c’era un terreno profondo; ma quando si levò il
sole, restò bruciata e, non avendo radice, si seccò. Un’altra cadde
tra le spine; le spine crebbero, la soffocarono e non diede frutto.
E un’altra cadde sulla terra buona, diede frutto che venne su e
crebbe, e rese ora il trenta, ora il sessanta e ora il cento per uno”
(Marco 4, 3-8).
Insomma, il denaro può e deve dare frutto. Non può rimanere fuori
dalla necessaria pratica della semina: bisogna solo scegliere il
dove e capire il come, ma partendo sempre da un perché. E questo
avviene anche nella modalità del dare.
Il Corano – cito dalla versione dell’indimenticato islamista Alessandro
Bausani – incoraggia il dono: “E quando uno dona dei suoi
beni sulla via di Dio è come un granello che fa germinare sette
spighe, ognuna delle quali contiene cento granelli; così Dio darà il
doppio a chi vuole” (Sura II, 261). E mette in guardia dall’indole
troppo spinta verso il vantaggio: “Non ti inganni la facilità negli
affari degli infedeli, sulla terra: poca cosa e poi, l’ultimo rifugio,
l’Inferno; qual tristo giaciglio!” (Sura III, 196-197).
Marco Marcocci, in maniera del tutto laica e mondana (contrariamente
alle nostre citazioni oltramondane), ha tirato giù il suo Missih dallo spazio e
gli ha fatto conoscere pratiche di un’economia
attenta ai bisogni di chi può poco o non può. Ed è un libro che
cade come un seme in un terreno sempre più arido per la crisi che
viviamo da quello che, tra procrastinate uscite e malintesi segni di
ripresa, sarà presto un decennio. Mentre ci siamo dentro, qualcuno
cerca di uscirne fuori. Non solo in centri di calcolo e uffici studi.
Ma lì dove serve, dove è necessario. Il risultato è: un’altra finanza
è possibile. Una finanza che può far raddoppiare il singolo talento
che qualcuno di più magre possibilità possiede senza per questo
doverlo guardare come un seme troppo piccolo per trovare il terreno
giusto dove essere messo a dimora.
Che c'entrano il quartiere Coppedè e D'Annunzio e Pirandello? E poi: come mai è diventato un teatro il fondale preferito del cinema? E infine: perché le suggestioni di questa opera architettonica circoscritta hanno figliato più nel cinema che in letteratura? Lo scopriremo domenica 27 camminando tra simboli e storie cercando di realizzare il misterioso fascino di questa opera concettuale piena di evocazioni. Più che un'isola felice un nonluogo iperpersonalizzato. Dove si unisce una fantasia spazialtemporale a una abitativa. La conferma che un architetto può diventare un brand di se stesso osando persino troppo ma così eternandosi in una Roma adusa al superbo.
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