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 Un letto da Etain... di Carvelli
 
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"Ho vissuto solo così a lungo che tutto quello che mi circonda è personale, privato. Non mi meraviglierei se non ci fosse più nessuno in grado di capire quel che dico". "Io ti capirò," disse con tenerezza. "Dammi solo un po' di tempo... e capirò tutto quello che dirai." Si strinse nelle spalle. "Ho anch'io un mio modo personale di scherzare..." "Da oggi in avanti..." dissi, "uniremo di nuovo i nostri codici privati e ricostruiremo un'intimità a due". "Sarà molto carino," disse. "Ancora uno stato a due," dissi. "Sì," disse.

Kurt Vonnegut
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Intorno a Nonno Ugo (da il manifesto e di Errico Buonanno)
Di Carvelli (del 31/07/2006 @ 11:16:42, in diario, linkato 11093 volte)

Recupero un bell'articolo/racconto di Errico Buonanno (uscito su il manifesto qualche tempo fa) che è riuscito a storicizzare e attualizzare un'ossessione infantile ridonandole tempo e spazio. Con brio. 

Il mondo perduto di nonno Ugo
di Errico Buonanno


Non sono passati poi molti anni da quando imperversava la pubblicità della «città del mobile». Il suo patron, ora dimenticato, preconizzava un'Italia diversa, e scopriva Moana...

Dopo due viaggi avanti e indietro su una Salaria nuvolosa, alla ricerca di un fantasma, Roma-Monterotondo, Monterotondo-Roma... mi fermo ad un bar. «Scusi, ma qui siamo già oltre il chilometro diciannove?» Sì, ma di poco: è il ventidue. Bevo il caffè ed intanto scruto la barista che sembra buona e disponibile anche alla chiacchiera. Prendo coraggio: «Senta, ma esiste... esiste ancora la Città del Mobile?» Crede di sì, ma non ne è certa. «E... Nonno Ugo?» Sorride, non può farne a meno, e mi conferma: «È vivo. Però è molto vecchio. Non fa più `Nonno Ugo', ormai.»

È vivo...

Rimonto in macchina e riparto in direzione della capitale. La strada è stretta, incorniciata da un filare d'alberi e da diecine, centinaia di cartelloni pubblicitari di autosaloni, magazzini. Eppure, di Città del Mobile neanche l'ombra («chilometro diciannove e seicento», diceva un tempo la réclame). Che sia magari diventata quel grande centro arredamenti - tanto pubblicizzato sulle radio locali; sedici filiali soltanto nel Lazio - che sorge proprio alla mia destra? Svolto, parcheggio. Sul tetto della costruzione ancora trionfa la scritta, cadente: «Rossetti». Era qui.

C'è stata un'epoca in cui, ce ne rendessimo conto o no, il grande boom, spiritualmente, era tornato. Epoca in cui, con la stessa fiducia, la stessa aria scanzonata che nascondeva gli ultimi brividi della Guerra Fredda e i nostri eterni complessi d'inferiorità internazionale, ci lanciavamo ancora avanti con progetti arditi: si sperperava, si speculava, si costruiva con un identico, incrollabile senso d'immortalità, con un identico sorriso. Candidamente, preparavamo già la strada a questi giorni di noia e paura, senza peccato, come un ruggente capodanno. Per Roma, per il quartiere Salario, per le nascenti, rivoluzionarie televisioni private laziali, quell'epoca, gli anni `80, furono l'epoca di Nonno Ugo. Chi è questo simbolo del tempo perduto?


Un uomo vincente
Al principio della nostra storia Ugo Rossetti era già un uomo a modo suo vincente. Proprietario di un mobilificio tra i più imponenti del paese, battezzato faraonicamente Città del Mobile Rossetti, vendeva con buoni guadagni arredamento per ragazzi, camere da letto e salotti, leader supremo del settore fino giù a Rieti e alle terre ciociare. Basso, grassoccio, i baffi bianchi su una facciozza bonaria: nessuno avrebbe sospettato che quella faccia sarebbe presto divenuta icona.

Parlando col senno del poi, possiamo dire che quest'uomo aveva avuto delle geniali intuizioni berlusconiane prima di Berlusconi stesso. Da imprenditore già avviato capì, all'inizio degli `80, che l'autentica svolta poteva venire solo divinizzando la propria persona, rendendosi personaggio, creando il mito. Si chiamò Nonno Ugo - Piccolo Padre della via Salaria -, si proclamò «sindaco» della sua Città del Mobile e, primo fra tutti, tappezzò Roma e dintorni di cartelloni mastodontici che lo ritraevano sorridente con la nipotina Deborah: «Nonno Ugo è il nonno più buono del mondo! Evviva Nonno Ugo!». In breve tempo, un commerciante come tanti era saltato nello spazio della fantasia popolare («Stai sempre in mezzo, come Nonno Ugo!»).

Erano gli anni in cui nascevano le tv private. Nonno Ugo lanciò su tutte le frequenze regionali la più massiccia campagna di spot che si fosse mai vista. Non gli bastava: osò di più. Capì in un attimo la vera potenza dello show, e reclutò al più presto una piccola schiera di attori in declino, presentatori un po' spiantati e ragazzotte di belle speranze. Nell'anno 1985 un mini-varietà condotto da Silvio Noto assegnava il Premio Venere Città del Mobile alla «donna più bella del mondo», una ragazza sconosciuta che si muoveva sensualmente nei locali del mobilificio: una scoperta, Moana Pozzi.

Ma Ugo Rossetti aveva occhio anche ai bambini: una sigletta proverbiale, con la sua nipotina Deborah che dipingeva una stanzetta di mille colori («Sì, sì, sì... giallo!») su sottofondo dei Ricchi e Poveri, introduceva una trasmissione che per noi, nati sul finire degli anni `70, ha ancora un certo che di mitico, di storico, un concentrato di estetica trash: lo «Sputagiò». Niente popò di meno che Pierino, alias Alvaro Vitali, conduceva questo spazio in cui i bambini erano invitati a picchiare con un martellone in gomma su una speciale macchinetta che sputava giocattoli vari. Accanto a lui, Tata di Ovada, ex impiegato datosi all'arte del clown, che presto avrebbe soppiantato del tutto Pierino nella conduzione del programma...


Un mondo buono e rattoppato
«Dov'è finito tutto questo?» mi domando, mentre una provvida commessa mi assicura che la nuova azienda non dipende dai Rossetti. In quest'istante, esattamente, mi rendo conto del tempo trascorso, vedo la discrepanza tra quest'efficienza asettica e il mondo buono e rattoppato di quegli anni. Esco e passeggio lungo capannoni in disuso, strade sterrate, due cani randagi che mi annusano le scarpe. È qui che, sulla porta di un cadente box dismesso, sta affisso un cartello: «Affittasi. tel. 320-17...» e sotto scritto: «Nonno Ugo».

Mi guardo attorno con il cuore in gola. Sul muro accanto c'è un'indicazione anomala: «Nuova Democrazia Cristiana, sezione De Gasperi». Una freccia indica una porta. La stessa porta è sormontata da un cartello: «Città del Mobile Rossetti». Ma non è affatto una città: è una stanzetta, un nonnulla! Dove mi trovo? Cos'è questo? Una donnina esce un po' sospettosa per domandarmi che vada cercando.

«Mi servirebbe... una libreria... Ma siete ancora la Città del Mobile? È tutto qui?»

«Smerciamo le ultime giacenze.»

«E Nonno Ugo?»

Ride: «Ha telefonato adesso. Venga». All'interno, un paio di letti, pochi comodini. E una gigantografia di Ugo con la piccola Deborah.

Forte, intuitivo, anticipatore per istinto, c'è stato un tempo in cui il Rossetti s'era lanciato nella fiction, ovvero le telenovelas, quelle che all'epoca dal Sud America invadevano i nostri giovani teleschermi e che condiva chiaramente con il suo stile personale. Primo copione: lui e lei devono sposarsi e vanno alla Città del Mobile. Ma il padre della sposa, nobile fiero ed altezzoso, si oppone quando scopre che il ragazzo è un trovatello. Interviene Nonno Ugo che si dichiara «conte di Rocca Rocchetta» e investe il giovane di un titolo nobiliare. Secondo Copione: Renzo e Lucia visitano la Città del Mobile. Ma Don Rodrigo, commerciante senza scrupoli, vuole aggiudicarsi la vendita della camera da letto. L'avvocato elettronico Azzecca-garbugli dichiara: «Chi più alto lo sconto farà, i suoi mobili venderà» e il buon Rossetti spiazza l'altro facendo uno sconto del 50%. Terzo copione: i genitori di Antonio e Cleopatra litigano sullo stile della camera da letto (romana o egizia). «Fior de fioretti... risorvece er problema, Ugo Rossetti!» Nonno Ugo prende una cetra e intona allora uno stornello: «Il problema, questo è chiaro, è un problema di denaro... Fior di napalo, perciò le camere ve le regalo!»

Tale era il sogno di quest'uomo semplice: una celebrità basata sul commercio, ma allo stesso tempo un commercio basato sul paternalismo, sul regalo, sullo scherzo. Lo spazio utopico della Città del Mobile, quello Stato ideale (sicuramente autoritario) che sopravvive nella memoria di noi bambini dell'epoca, era in realtà il punto cruciale, il momento di scelta, la cellula staminale in cui, nell'Italia rampante e tuttavia ancora ingenua di quel secondo e ultimo boom, erano contenute entrambe le strade che potevamo prendere. In Nonno Ugo, è chiaro, c'era Berlusconi. Ma in Nonno Ugo c'era anche l'Italia bracciante, sognatrice, brava gente, l'Italia che stava crollando.

Venne il declino, e fu implacabile. Nel `91 la gestione passò al figlio; lo stesso anno, un grande rave - che blasfemia! - veniva organizzato nottetempo nei locali del mobilificio: gli anni `90 travolgevano con il loro disincanto il grande sogno di Città del Mobile.

In breve tempo gli affari calarono, e Ugo commise l'errore di tradire se stesso, fino a imitare l'uomo che gli era sempre stato subalterno quanto a intuizioni, quanto idee: tra il `94 e il `95 anche lui fece la sua fatale «discesa in campo», candidato sotto i vessilli dello scudo crociato a ogni elezione nei seguenti dieci anni senza riuscir mai a essere eletto.

Cosa è restato di quel mondo?


La macchinetta triturata
Lo Sputagiò è rimasto alcuni anni abbandonato in un angolo del mobilificio. Voci su internet assicurano che l'infernale macchinetta - interamente di cartone - sia quindi stata triturata e fatalmente riciclata.

Giovanni Taffone, alias Tata, «clown della simpatia» (anni sessantacinque), è ancora oggi contattabile presso il suo sito www.geocities.com/tatadiovada/, sul quale offre esibizioni a domicilio, foto e un curriculum in cui si vanta degli «elogi personali del principe Ranieri di Monaco» e di ben due apparizioni televisive durante i primi anni `70. Di Nonno Ugo non si fa parola.

La piccola Deborah Rossetti è oggi una splendida ventiseienne. Si è laureata e sta muovendo i primi passi nella carriera di scenografa con cui continua, a modo suo, la tradizione familiare.

Alvaro Vitali sta lentamente riemergendo da un quindicennio di dimenticanza. Vestiti per l'ultima volta i panni del grande Pierino nel ciclo di spot low-budget per i magazzini Mas di Roma, ha cavalcato l'onda della riscoperta del trash riuscendo a ritagliarsi apparizioni marginali: ha interpretato se stesso nel disastroso lungometraggio Ladri di barzellette e ha affiancato l'imitatore di Montezemolo a Striscia la notizia. L'ultima interpretazione è stata in Domani è un'altra truffa, il film tv di Pingitore con cui al momento, ad ogni modo, parrebbe essersi salvato dall'oblio.

Moana vive ancora oggi, bella e irreale, nel cuore caldo del paese: già mito, già santa. In occasione dei dieci anni dalla sua scomparsa, nel 2005, sono tornate alla ribalta voci insistenti intorno al suo vero destino: che non sia morta e abbia soltanto organizzato questa solenne messinscena per conservarsi sempre giovane nella memoria dei suoi fan?

Dalla villetta prospiciente la Città del Mobile, Nonno Ugo, ottantenne, guarda in silenzio la scritta «Rossetti» sul tetto del suo magazzino. Ha ancora forza, ancora sogni, ancora tutta l'imponenza di chi fu «sindaco» di quell'utopia ruggente: impero gioioso nei più frenetici anni `80, la terza via tra Russia e America, una Euro-Disneyland ante litteram, Milano Due della Salaria. Resta lì, fermo, riflessivo e cerca d'individuare, forse, il punto esatto di frattura, il labilissimo confine tra ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere. Ai bordi della capitale, il nuovo avanza.


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