Ancora su Mavis Gallant
Di Carvelli (del 28/08/2006 @ 09:08:27, in diario, linkato 1400 volte)
(E su) La remissione, un magnifico racconto in cui l'autrice canadese ma da quasi sempre a Parigi Mavis Gallant ci fa seguire da vicino una malattia mortale (tutto il racconto è una "cronaca di una morte annunciata" o se preferite dilatata) e tutto quello che ne consegue a ricasco. Cambiano le vite attorno a questa morte come succede e cambia forse anche la morte attorno a queste vite mutate, fino alle laconiche e profetiche - una profezia e un'intuizione apparentemente a scarto ridotto - parole del condannato alla fine. Ecco allora la distribuzione del dolore e le sue conseguenze. Non sempre dal dolore nasce altro dolore e non è detto che sia un male (l'ovvietà, in questo caso, è che dal dolore si rinnovi dolore e si perpetui...si debba perpetuare...) ed è così per Barbara. Dire che è un male? Questo racconto meraviglioso si candida ad essere una delle mie reiterabili letture oltre allo scatto di una determinazione (debole per la mia poca pratica delle lingue) di una lettura di originali (proponimenti di tarda estate). Per ora mi sento affascinato dalla lucidità dello sguardo della Gallant, la sua assenza di moralismi, la sua capacità di osservazione, di scavo psicologico senza condanne. Si discute sulle differenze - per dire - da una Munro.
Ma è sempre vergognoso e improprio (di cattivo gusto) paragonare due bellezze, due abilità, due virtù. Ecco perché la Soria della Letteratura è spesso una campana di temerarie volgarità dottorali su chi ama leggere. Intanto è da dire che: il finale del racconto (le ultime nove o dieci righe) è superlativo; che rimane un senso di condanna nel destino futuro dei ragazzi e (purtroppo) mai lo conosceremo; che anche se Will ha detto "La morte senza Dio è vuota" se la Gallant non avesse letto nella mente del ragazzo il resto si sarebbe smarrito il peso del ragionamento per lasciare saggezza precoce e basta; che se in fondo Molly (saggezza precoce) ha capito che il futuro è già nei suoi quattordici anni magari non è un vantaggio brutale ma è fortuna casuale (un dolore non è spesso solo un dolore, insomma). Ma alla fine sono sopratutto belle (arrivano, segnano, modificano, convincono, incantano) le parole, perché questa è la letteratura. "Molly scosse la testa. Sapeva già come stavano le cose, a quattordici anni: non c'era alcuna libertà tranne che smettere di amare." (E mi piace pensare che questa frase sia filosofia buddista più che sconcerto e dolore così come che la psicologia sia un vestito troppo attillato per questa autrice, sottodimensionato per volgarità).
|