Dall'intervista a Giuseppe Antonelli, italianista e autore di Lingua ipermedia. La parola di scrittore oggi in Italia, Manni Editori 2006, pubblicata su Stilos e riportata sul sito della casa editrice:
l consolidamento di un italiano che lei definisce «neo-standard» va anche nella direzione di una maggiore volontà, da parte degli autori, di essere traducibili? Che ragioni ha?
Oggi la stagione della lingua ipermedia è già finita. Casi editoriali –prima che critici– come Non ti muovere, Vita o, da ultimo, Con le peggiori intenzioni sembrano preludere a un ritorno all’ordine: romanzo benfatto, intreccio, personaggi e lingua tradizionale. Se si guarda alle classifiche, la sensazione è che il punto di riferimento stia diventando la lingua corretta, scorrevole, pacatamente brillante o moderatamente letterata delle traduzioni. Oggi la narrativa italiana vende di più, ma sempre più spesso la sua scrittura somiglia a quella dei libri stranieri così come li conosce il pubblico. Gli editori l’hanno capito e mi sembra di avvertire –nell’editing e prima ancora nella selezione dei testi– una forte spinta all’omologazione sul «traduttese».