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 letto scomodo di claus... di Carvelli
 
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Cogliamo fiori, prendili tu e lasciali sul grembo,/ e che il loro profumo renda soave il momento -/ questo momento in cui tranquillamente non crediamo in niente,/ innocenti pagani della decadenza./ Almeno se sarò ombra prima, ti ricorderai poi di me/ senza che il mio ricordo ti bruci o ti ferisca o ti commuova,/ perché mai intrecciammmo le mani, né ci baciammo,/ né fummo altro che bambini.

Fernando Pessoa
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Un addio a Vonnegut (pubblicato qualche giorno fa su l'Adige)
Di Carvelli (del 05/07/2007 @ 08:40:02, in diario, linkato 994 volte)

Madre Morte

di Roberto Carvelli

Ognuno se ne va quando deve o quando può. Talvolta quando vuole. Suona ovvio dire “quando è ora” specie nei casi in cui, ad esempio, uno scrittore ha una carriera lunga e proficua, importante già da presto. Sembra il caso di Kurt Vonnegut che ha lasciato questo mondo il 12 aprile a New York. Aveva 84 anni e non c’è male. Non c’è male neppure a pensare cosa ci lascia. Libri che hanno il gusto del classico, quel gusto naturale che è sostanza non modo di dire o marketing. Un gusto che in molti casi è dato da una vita civilmente appassionata, una storia che ha avuto pagine importanti in vita prima che in carta. E quando appunto è diventata carta era già letteratura. I libri di cui bisogna parlare con questa enfasi sono diversi ma su tutti ci mettiamo Mattatoio n.5. Poi Ghiaccio-Nove e l’ultimo pubblicato dalla Feltrinelli (che ora detiene gran parte dei diritti di pubblicazione per l’Italia) Madre Notte (€ 7,50). Per chi scrive già questo è un lascito importante. Per altri – Vonnegut ha una schiera nutrita di appassionati divisa in parti uguali tra amanti di genere (la fantascienza su tutti di cui è considerato un erede importante della tradizione) e amanti della letteratura con felicità per chi cerca anche nella finzione posizioni sociali e politiche, un disegno del mondo, un progetto, verrebbe da dire una poetica larga – i titoli di riferimento o quelli amati sono altri a dimostrazione che lo scrittore di Indianapolis è un grande mare.  "Ho vissuto solo così a lungo che tutto quello che mi circonda è personale, privato. Non mi meraviglierei se non ci fosse più nessuno in grado di capire quel che dico". La grandezza di questo autore americano è stata spesso proprio questa: creare nuovi codici, aprire altre piste di comunicazione a volte vie buone solo per iniziati ed ecco la ragione di questa forte fidelizzazione. Ancora in Madre Notte: "Io ti capirò," disse con tenerezza. "Dammi solo un po' di tempo... e capirò tutto quello che dirai." Si strinse nelle spalle. "Ho anch'io un mio modo personale di scherzare..." "Da oggi in avanti..." dissi, "uniremo di nuovo i nostri codici privati e ricostruiremo un'intimità a due". Tutto concilia per far pensare a Vonnegut come ad un maestro, uno scrittore che ha avuto la capacità di aprire una forbice tra fiction e documento e uno che ha saputo nobilitare i generi coniugando l’importanza del gesto creativo con la sua naturalezza. In questa chiave pensiamo alla sua opera completa come ad un unicum complesso. Ma verrebbe da dire citandolo ancora nella pagine di Madre Notte che nella corsa è “la lepre della storia che raggiunge e sorpassa ancora una volta la tartaruga dell’arte”. Kurt Vonnegut aveva origini tedesche e in Germania aveva passato gli anni tristi della Seconda Guerra Mondiale, anni a cui ha dedicato pagine che rimarranno. Pensiamo a Dresda e al bombardamento che l’ha cancellata (lui c’era, come prigioniero). Pensiamo ai crimini nazisti di cui il libro ultimo uscito in casa Feltrinelli è intessuto. Mother Night questo il titolo nel suo originale del 1961 è un libro sorprendente dove la ragione dei buoni e quella dei cattivi fanno cortocircuito. Howard W. Campbell, protagonista del libro e voce della propaganda nazista di Goebbels per gli Stati Uniti, diventerà un idolo dei neonazisti a New York e una preda da safari per chi è a caccia di risarcimenti storici in una linea di unione tra razzismi a varie tonalità ed eroismi non voluti. Vonnegut era considerato un pacifista e il paradosso ricordato da Fernanda Pivano nel suo ricordo pubblicato sul Corriere della Sera il giorno dopo la morte dello scrittore americano è che fosse stato condannato a parlare di guerra e “non chiedermi di Dresda” suona come un saluto di default anticipato a mo’ di simpatico saluto alla critica genovese. Ma forse è l’attendibilità della presenza a dare a queste pagine una forza speciale. Forse è l’essere stato sotto, per fortuna ben più sotto, a dare al racconto di quelle 771 tonnellate di bombe l’impatto oltre che fortunato e torniamo alla premessa di questo saluto-ricordo. C’è una preghiera in Mattatoio n.5 ma forse citarla qui, adesso suona un piccolo risarcimento al dolore di questo addio e un consiglio per andare avanti da soli, come succede: “Dio mi conceda la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che posso e la saggezza di comprendere sempre la differenza”.
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