Segnalo l'interessante intervista di Giovanna Zucconi a Silvia Ballestra, uscita su Tuttolibri di sabato scorso. L'inizio. Il resto qui.
Succede tutto prima dei
vent'anni, diceva Flannery O'Connor
e dice Silvia Ballestra. Sarà
forse perché di anni ne ha trentotto
che Silvia è così tosta e così
d'altri tempi, o anzi una tosta
d'antan (visti questi, di tempi, è
un complimento massimo). Nelle
piccole cose e nelle grandi, quando
parla della sua formazione underground,
di femminismo, o
quando dice che ogni volta che
esce per comprarsi un golf, perché
li ha tutti a pezzi, torna a casa
senza maglioni ma invece carica
di saggi e romanzi. «Finisco sempre
in libreria, come i cavalli che
tornano alla stalla».
Quale libreria?
«In una Feltrinelli, anche se mi secca
dirlo perché non mi piacciono
più. Negli anni in cui abitavo a Bologna
andavo in quella di piazza Ravegnana,
dove Romano Montroni e
gli altri erano bravi librai. Non è più
così. Una volta le vetrine erano piene
di piccoli editori, adesso sono
vendute alla monomarca. È un
grande dolore».
Silvia Ballestra non ama il mainstream.
Mai, in nulla. Forse perché prima
dei vent'anni, quando tutto è successo,
si è formata nella ricerca, nell'underground.
«È il mio peccato originale, forse il
mio difetto. Nella musica, sono più
affezionata agli esordienti che ai
grandi cantanti. Nel cinema e nelle
letture, idem. Non leggo premi Nobel,
sarei più per i piccoli, per la nicchia.
Per me conta come arrivi alle
cose, quanta fatica fai per scoprirle,
è un percorso anche emotivo. Da
ragazza ho letto tantissimo, essendo
cresciuta in un posto desolato
dove c'erano soltanto due librerie...
».
San Benedetto del Tronto, nelle Marche.
«...i libri andavano cercati, scoperti.
Era un piacere in più, come pure
parlarne con l'unico amico che leggeva,
e che poi è finito anche lui a
scrivere, Emidio Clementi. Erano
anni di scoperte, in letteratura, nel
cinema, nella musica. Adesso tutto
è a portata, allora Paris, Texas di
Wim Wenders in un cineforum era
un'emozione. La difficoltà valorizzava
».
Non c'è niente di nostalgico né dimoralistico,
nel rilevare la distanza fra allora
e oggi. Semmai una sana incazzatura
politica.
«La televisione ha vinto, Moccia è il
Grande Fratello. Nelle case editrici
non c'è più progetto, ricerca, catalogo:
si spera soltanto nel prossimo
bestseller».
Qualcuno vince alla lotteria, però. Tamaro,
Mazzantini, Moccia...
«Le grande aziende funzionano così,
e sono loro che contano. La tragedia
di questi anni è questa, si restringono
gli spazi di libertà e democrazia.
Agli inizi degli Anni Novanta
io ho fatto in tempo a passare; è passato
Tondelli, uno di provincia, non
figlio di notabili. Oggi l'editoria è
cambiata, governa il marketing, il
criterio è l'utile. Ma i libri non sono
mocassini o scaldabagni. E in chi legge,
e in chi scrive, sarebbe auspicabile
una conoscenza della letteratura,
non dei prodotti editoriali di mercato».
L'intervista completa.