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 Il letto di Hvammstangi... di Carvelli
 
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Affamato e inferocito, sapevo che nulla al mondo mi avrebbe costrtto al suicidio. Proprio in quel periodo avevo cominciato a capire l'essenza del grande istinto di conservazione, la qualità dui cui l'uomo è in sommo grado dotato. Vedevo i nostri cavalli sfiancarsi e morire - non posso esprimermi in altro modo, utilizzare altre parole. I cavalli non si distinguevano in nulla dagli uomini. Morivano a causa del Nord, del lavoro troppo gravoso, del cibo cattivo, delle botte - e anche se subivano tutto ciò in misura mille volte inferiore agli esseri umani, i cavalli morivano prima. E capii la cosa più importante: che l'uomo è diventato uomo non perché è una creatura di Dio, né perché nelle mani ha quella cosa straordinaria che è il pollice. Ma perché è FISICAMENTE più forte, più resistente di tutti gli altri animali, e poi perché in seguito ha saputo costringere il proprio spirito a servire con successo il corpo.

Varlam Salamov
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La Cecla e il ciclo
Di Carvelli (del 13/11/2007 @ 13:11:59, in diario, linkato 1580 volte)

Questo articolo di Franco La Cecla è comparso su il manifesto di venerdì scorso.

Il ciclista campa dove l’auto crepa
La bicicletta è l’invenzione del futuro. Bella, egualitaria, stilosa, anti-age, ecologica e sovversiva, eppure nel nostro paese governato da vecchi auto-lesionisti non se ne accorge nessuno. In Europa la bici si fa strada, in Italia le auto continuano l’esproprio illegale di spazio urbano, i ciclisti muoiono e chi sopravvive pedala ai margini o rischia di essere relegato in piste per cittadini di serie B
Franco La Cecla


Nelle attuali condizioni generali delle città, chiunque inviti con allegria ed eco consapevolezza gli utenti della città a servirsi della bici è un istigatore al suicidio.
Hanno un bel parlare i sindaci, le amministrazioni illuminate, perfino quelle che si lanciano verso la bici come servizio pubblico con un sistema di locazione superaccessibile ed ubiquo. Le cifre parlano chiaro. Il numero dei ciclisti uccisi o feriti nel traffico urbano è andato negli ultimi anni aumentando vertiginosamente.

Lo spazio urbano è di tutti
Non ci sono santi. Il ciclista ed il pedone ancor più di lui, sono esposti al pericolo maggiore: i loro corpi sono troppo fragili per circolare in mezzo ad un ammasso di ferraglia cittadina lanciata a più di trenta chilometri orari (che è la velocità oltre la quale qualunque impatto di un veicolo con un corpo umano genera quasi sempre la morte di quest’ultimo). E’ inutile e perfino criminale spingere i cittadini a servirsi delle bici come scelta ecologica, è ridicolo pensare che le piste ciclabili siano al riparo dei pericoli della strada. Fin quando la città, fin quando le città italiane saranno il luogo dove alle automobili è permesso il privilegio anacronistico di circolare avremo solo una ecologia alla Montezemolo o alla Pecoraro Scanio, cioè una ecologia dell’aggiustamento e della negoziazione che come effetto ha di far pagare i costi dell’inquinamento agli eco-consapevoli. E’ ridicolo pensare che la bici sia una questione di minore inquinamento, come se la questione ecologica fosse oramai solo in mano a centraline di controllo e a fisici dell’ambiente. Ma è possibile che nessuno si accorga che è una questione di normale equità di accesso alle risorse? Lo spazio urbano è una risorsa a cui tutti devono accedere in maniera democratica ed egualitaria.
E’ ormai noto che le automobili occupano uno spazio che viene concesso loro con un esproprio illegale e generalizzato delle zone pubbliche della città. Le strade sono di tutti i cittadini e nessuna tassa di circolazione dovrebbe consentire l’esproprio da parte del più forte dello spazio che è di tutti. Le automobili non solo inquinano, ma devastano lo spazio della democrazia, del diritto generale di godimento di una città. In più sono assolutamente anacronistiche. Se Diderot dovesse scrivere oggi la voce Stupidità Umana su una appendice alla Encyclopédie sicuramente descriverebbe un ingorgo normale alle ore di punta in qualsiasi città europea.
Chi oggi ha il coraggio di sostenere che l’automobile è un mezzo per circolare, per spostarsi? Non lo dicono nemmeno più i pubblicitari, le puttane dell’ebbrezza a basso costo su una Suv. Se c’è un motivo per cui la gente oggi compra ancora le Suv e le grosse cilindrate e ci circola in città (vorrei sapere se Walter Veltroni o qualunque altro sindaco illuminato ha mai fatto una ordinanza che proibisce categoricamente alle Suv di circolare in città) è che è un modo di occupare lo spazio altrui - una Suv occupa lo spazio di venti persone in piedi e di dieci sedute. Ve lo dicono anche le sciure milanesi che vi spiegano che così si sentono protette dal caos e dalla violenza cittadina. Insomma a pensarci bene le Suv e le automobili sono oggi giustificabili solo dalla guerra urbana. Non è un caso che le Suv nascano proprio come veicoli di guerra e abbiano tanto successo nella Mosca dei nuovi ricchi. Si tratta della guerra per accaparrarsi la città e per dimostrare a tutti che la sicurezza è proporzionale alla dose di prepotenza gestibile.

La politica sotto ricatto
E’ possibile che amministrazioni democratiche accettino questo ricatto? E’ possibile che oggi, ad una distanza limitatissima dalla fine delle risorse petrolifere e sull’orlo della crisi ambientale permanente non sia immediato, banale, qualcosa che il più stupido dei sindaci può fare, semplicemente proibire alle auto lo spazio della città? Vorrei proprio vedere chi avrà la onestà banale di farlo per primo. Ma in realtà la città è in mano ancora a ben altri interessi. In Italia esiste ancora una associazione che si chiama scandalosamente Automobil Club Italiano (una associazione tra le automobili!) e che ha acceso a fondi pubblici. Questa società, alla sua nascita, deplorava il numero alto di incidenti in cui erano coinvolti bambini pedoni e chiedeva una più rigorosa regolamentazione della strada che obbligasse mamme e bambini a non intralciare il flusso automobilistico. I codici della strada sono stati concepiti, almeno da noi, per decenni come regolamenti per difendere i veicoli dall’ingombro dei pedoni e per affermare un principio mai dimostrato e cioè che le strade urbane sono delle automobili.

Spacciatori di eco menzogne
Forse un giorno i nostri discendenti resteranno sconvolti vedendo foto delle nostre strisce pedonali, l’invenzione più ipocrita del secolo, che disegna sulla strada un ponte fittizio e precario dove possono passare a singhiozzo i fragili corpi degli esseri umani. E penseranno a noi come a degli esseri in una perenne guerra civile. D’altro canto è una guerra che abbiamo esportato. Ad Hanoi, in Vietnam, ci sono stati più morti nel traffico negli ultimi dieci anni che tutti i morti della guerra: l’effetto dell’arrivo del traffico motorizzato in città abituate a vivere per strada, ad usare la strada come primo teatro della vita e dell’incontro. Insomma stupidità e guerra, le premonizioni presenti nelle scene di traffico dei film di Godard o di Fellini, nelle descrizioni della autopista di Cortazar. Ma sono passati cinquant’anni, sembra che nessuno si accorga che siamo alla fine, che ci trasciniamo verso una conclusione ridicola e disumana. Sarebbe difficile pensare ad una civiltà che si rende la vita più difficile di come facciamo noi. Ma come, il futuro che ci aspetta è tutto urbano e stiamo ancora imbottigliati nella squallida latta di lusso? Ma come?
L’Italia, un paese boccheggiante che potrebbe fare del suo patrimonio urbano una risorsa inesauribile di turismo e contemplazione, ha invece negli ultimi anni aumentato esponenzialmente il numero di automobili vendute. E’ così che l’economia tira? Ma via! Chi ci crede ancora? Il re è tenebrosamente nudo e nessuno ha il coraggio di dirlo? Invece si continua a spacciare l’idea che le Smart sono la soluzione o che lo è il nuovo motore che inquina un po’ meno di quello precedente. Non so dove sta andando il movimento ecologista italiano, forse davvero da nessuna parte, forse è un modo simpatico di creare entourage affiatati intorno a ministri fotogenici, ma oggi non è più tempo di messe in scena, di buone figure, di biospacciatori. E’ ancora tempo di imbroglioni che vogliono venderci il nucleare come energia pulita, di filosofi che sostengono che il catastrofismo è fascista.

Buone piste per zombi ciclabili
Siamo sicuri di volerci credere? Siamo sicuri che non basterebbe un ritorno banale all’evidenza? Chiunque sale in bici se ne rende conto, chiunque passeggia per strada lo sa. La bicicletta non è la soluzione al problema ecologico della città, ne è solo la spia di una impossibilità. Nessun mezzo può circolare in presenza di altri mezzi che vanno molto più veloci. La velocità di un mezzo uccide la possibilità di mezzi meno veloci di circolare. Ce lo ha insegnato Ivan Illich moltissimi anni fa. Lo abbiamo imparato a nostre spese. Bene, è arrivata l’ora di finirla. Qualunque amministrazione che prometta o realizzi piste ciclabili rende i ciclisti degli zombi da zoo urbano, come rende i pedoni birilli di un bowling tragico.
Quanti anni ci vorranno ancora perché il diritto alla sicurezza nelle aree urbane significhi questo, semplicemente, diritto a non essere investiti? Ma fin quando nessun sindaco si farà carico di questo avranno ragione gli sceriffi della Lega a spacciare la sicurezza come il diritto ad investire con i Suv gli immigrati agli incroci.
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