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 rodi... di Carvelli
 
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Affamato e inferocito, sapevo che nulla al mondo mi avrebbe costrtto al suicidio. Proprio in quel periodo avevo cominciato a capire l'essenza del grande istinto di conservazione, la qualità dui cui l'uomo è in sommo grado dotato. Vedevo i nostri cavalli sfiancarsi e morire - non posso esprimermi in altro modo, utilizzare altre parole. I cavalli non si distinguevano in nulla dagli uomini. Morivano a causa del Nord, del lavoro troppo gravoso, del cibo cattivo, delle botte - e anche se subivano tutto ciò in misura mille volte inferiore agli esseri umani, i cavalli morivano prima. E capii la cosa più importante: che l'uomo è diventato uomo non perché è una creatura di Dio, né perché nelle mani ha quella cosa straordinaria che è il pollice. Ma perché è FISICAMENTE più forte, più resistente di tutti gli altri animali, e poi perché in seguito ha saputo costringere il proprio spirito a servire con successo il corpo.

Varlam Salamov
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Metro (Fofi)
Di Carvelli (del 03/12/2007 @ 15:03:34, in diario, linkato 911 volte)

Giorni fa pensavo, guardando una pubblicità di un noto artista alla tessera della metro, a come gli sponsor dovrebbero obbligare i loro testimonial all'uso anche solo saltuario del prodotto o servizio rappresentato. Pensavo così e per esteso riflettevo anche sulla rarità di incontri con gente nota nella metropolitana. Parlo di Roma. Poi, pochi giorni dopo su Internazionale questo articolo di Goffredo Fofi. Pensavo di linkarvelo poi ho avuto da fare poi L. Ecco

Il primo metrò

I passeggeri dell'alba hanno espressioni pensierose e portano il peso di un sonno incompiuto


Internazionale 720, 22 novembre 2007

Sulla metropolitana di Roma non si incontrano mai facce note. Non ci sono giornalisti famosi, politici, personaggi televisivi, scrittori o attori. A nessuna ora del giorno e della notte.

Io sono un frequentatore quotidiano e assiduo del metrò, e ricordo solo di aver incrociato, tanto tempo fa, un frettoloso Gianni Amelio diretto a Cinecittà. Non mi stupisce più di tanto.

La sotterranea è poco accogliente ed è rumorosissima, ma non per colpa dei tanti viaggiatori, che anzi sono silenziosi quasi fossero intimoriti da questo preannuncio di discesa al purgatorio. La colpa è dell'alto e talvolta altissimo volume della musica (pessima) della radio interna o delle pubblicità diffuse dagli schermi che pendono dai soffitti delle stazioni principali.

C'è una legge sull'inquinamento acustico, ma qualcuno ha mai verificato i livelli di tanti ambienti pubblici come questo? La "qualità della vita", la vivibilità della città dipende anche da queste "minuzie", però ossessive e isterizzanti. Ma le autorità badano al bilancio e, coscienti o meno, aiutano gli utenti a non pensare. Su questo non c'è distinzione tra destra e sinistra, l'accordo è assoluto.

D'altronde, come stupirsi che a frequentare la metropolitana sia soltanto una parte della popolazione, la meno fortunata? Leggo sui giornali un rapporto di Legambiente secondo cui a Roma ci sono 70 automobili ogni 100 abitanti (abitanti, non nuclei familiari) contro le 32 di Berlino e le 26 di Parigi.

Ma a Parigi il comune privilegia da sempre il trasporto pubblico e a Berlino c'è la metropolitana forse più silenziosa e civile del mondo. Settanta automobili ogni 100 abitanti! Non guido e faccio dunque parte del 30 per cento che non ha l'auto. Per di più amo poco i tassisti, ma vivo nel paese di Padoa Schioppa, di Marchionne, degli economisti più accreditati, che ritengono che il segreto della ripresa economica stia ancora nell'aumento della produzione di automobili…

Sto divagando, ma "tutto si tiene". È degli stranieri in Italia, a partire da Roma, che volevo parlare. Io sono mattiniero, lavoro meglio nelle prime ore della giornata, vado in ufficio all'alba e il metrò comincia a essere affollato prima delle sei. Ma di stranieri.

A occhio, a quell'ora gli stranieri sono 70, forse 80 passeggeri su cento. Giro l'Italia e ho visto che lo stesso vale per la metropolitana di Milano, per i tram e gli autobus di tutte le città italiane. Nei volti assonnati degli uomini e delle donne, giovani o adulti, che vanno al lavoro in quelle ore, mi sembra di riconoscere volti e situazioni del passato: i tram dell'alba nella Torino o nella Milano del boom, la "circolare" di Roma, gli autobus napoletani degli anni settanta e ottanta.

Allora si trattava di italiani e solo di italiani, e di settori sociali ben definiti anche se in certi anni, al nord, erano più i meridionali che i settentrionali. Adesso si tratta di stranieri, che hanno sostituito gli italiani in quei lavori che non amiamo più fare – con ragione – e che esigono almeno due traversate quotidiane della città e delle periferie.

Alle cinque e mezzo, alle sei del mattino si può star sicuri che i delinquenti dormono, sono andati a letto da poco, e che i rumeni che viaggiano in metrò sono persone normali, per bene. I passeggeri dell'alba sono uomini, donne, ragazzi che hanno espressioni pensierose, talvolta trasognate nel peso di un sonno incompiuto e di sogni malamente interrotti. Tacciono.

Solo qualcuno scambia poche parole con un amico o collega che ha la sua stessa destinazione. Non so perché, ma all'alba sono rari gli africani, eccetto quelli che trascinano i grossi pacchi con le cose che esporranno agli angoli di strada dove si sono conquistati il diritto, scritto o non scritto, di mercanteggiare. Ci sono asiatici ed europei dell'est, ma in gran maggioranza europei.

Hanno volti segnati dalla fatica e dall'esperienza come li avevano i proletari italiani di ieri e che non hanno mai, per esempio, i politici o gli intellettuali di oggi, unificati e omologati dalla pace e dai consumi: e sembrano (sembriamo) usciti da una trasmissione televisiva o, al meglio, da un cartone dei puffi.

Ho sempre avuto una sorta di passione per i volti, e rimpiango la scomparsa, nella pittura, della grande arte del ritratto, che resiste a volte in fotografia. Da giovane mi perdevo a scrutare i volti delle persone che incrociavo sugli autobus, nelle strade, nei mercati: cercavo di indovinare chi fossero, che vita avessero, quali desideri. Da che regione venivano, che lavoro facevano, per chi votavano, che aspirazioni li muovevano, e perfino se erano buoni o cattivi.

Quasi sempre i volti mi "parlavano", li si poteva "leggere" e leggere in loro l'Italia. Le probabilità di indovinare erano alte. I volti di oggi sono monotoni, sembrano pacificati e non lo sono, ma mostrano gli stessi costumi e desideri, sentimenti, pensieri simili, come le loro espressioni, gonfie, poco riflessive, che dietro hanno rovelli tutti uguali.

I volti degli stranieri non sono così, perché gli stranieri sono ancora poveri. Nei giorni in cui si parlava tanto e troppo di rumeni, mi chiedevo chi fosse rumeno e chi no ma ci rinunciavo subito. Le facce dei metrò dell'alba non sono di rumeni o di afgani, di serbi o di italiani, sono di proletari.

http://www.internazionale.it/firme/articolo.php?id=17641

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