Fatti un esame di coscienza! (da Rosa Montero)
Di Carvelli (del 20/06/2004 @ 10:03:56, in diario, linkato 1069 volte)
Fatti un esame di coscienza! Un’espressione che sentiamo sempre di meno. Farsi un esame di coscienza. Non deve essere casuale che non ci venga più rivolto un invito del genere. Qualcosa deve esserci che ci solleva da questo imperativo di dentro. Perché nessuno ci chiede più di guardarci all’interno. Criticamente. E per “criticamente” intendo quel modo di osservarsi che contenga la duplice possibilità del sì e del no, del bravo e del non-bravo, del giusto e dello sbagliato. Sto leggendo LA PAZZA DI CASA di ROSA MONTERO (Frassinelli).
E’ un libro molto interessante di una scrittrice di cui sapevo e tuttora so pochissimo. Mi ha attirato una recensione del domenicale del Sole24ore. Ieri anche TTL de La Stampa a firma di Angela Bianchini lo ha preso in considerazione. La Bianchini scrive “è il libro che qualunque scrittore, consapevole del suo mestiere, avrebbe voluto e potuto scrivere” ed è una frase bellissima. Un fiume con più affluenti: la consapevolezza, il volere, il potere. Tre piccoli corsi d’acqua senza i quali magari questo libro sarebbe stato un corso sassoso con poche pozze. E invece è un bel libro proprio per questa banale prospettiva di scrittura che invece è esaustiva. E’ incredibile quando vedi o leggi un qualcosa che pensi che anche un altro avrebbe potuto fare. Getta un’ombra di perplessità sul genio, un temporale sul fuoco dell’invenzione per l’invenzione. Il capitolo 7 in particolare merita letture e riletture. Vorrei poterlo (tra)scrivere tutto. La premessa: “perché uno scrittore si rovina?” Il bisogno di essere letto, dello scrittore. Il grande Robert Walser che si ammala di non-lettori, non-editori. Poi: “Una volta che finiamo sotto il fascio di luce proveniente dallo sguardo altrui, noi umani di solito desideriamo che il riflettore non si spenga mai.” E mi sembra così insolitamente casuale che ieri io sia andato a vedere il film dei Cohen
LADYKILLERS di cui non saprei dire male come altri amici hanno fatto recensendomelo. Ma mi viene il sospetto della via di mezzo della perfezione formale come resistenza all’ombra della mancanza del sole del genio. Un ombrello. Bello. Ben colorato e riparatore. Intanto meglio del precedente: mi è più chiaro perché due indipendenti accettino Hollywood…per fare un film così (a parte l’ovvia scrittura lì della Zeta e qui di Hancks) servivano soldi. Torno alla Montero: “Un’ultima riflessione sul motivo per cui il trionfo può distruggere definitivamente i romanzieri; il successo, nella società mediatica di oggi, non è più legato alla gloria ma alla fama; e la fama è la versione più dozzinale, instabile ed artificiale del trionfo.” E ancora Capote e Conrad e Rulfo. Casi di diverso tennis con l’ispirazione. E’ inutile che scriva altro se non l’invito alla lettura (magari furtiva di questo capitolo in qualche mercificata sala di lettura di librerie senza occhi pressanti).
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