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 Un letto da Etain... di Carvelli
 
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"Ho vissuto solo così a lungo che tutto quello che mi circonda è personale, privato. Non mi meraviglierei se non ci fosse più nessuno in grado di capire quel che dico". "Io ti capirò," disse con tenerezza. "Dammi solo un po' di tempo... e capirò tutto quello che dirai." Si strinse nelle spalle. "Ho anch'io un mio modo personale di scherzare..." "Da oggi in avanti..." dissi, "uniremo di nuovo i nostri codici privati e ricostruiremo un'intimità a due". "Sarà molto carino," disse. "Ancora uno stato a due," dissi. "Sì," disse.

Kurt Vonnegut
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Cosa faccio quando non faccio le cose che fanno gli altri e che io non so o non posso fare
Di Carvelli (del 20/04/2009 @ 16:00:46, in diario, linkato 1396 volte)

It was in Owindoli

Mentre quelli sciavano io invece leggevo questo articolo (da la Repubblica delle Donne di quel giorno che ora ritrovo grazie a mano amica.
Ecco

http://dweb.repubblica.it/dweb/2009/03/14/societa/societa/123rel637123.html


Calcolo dei minuti perfetti
di Romano Madera*

Basta un attimo solo per rendere la vita degna di essere vissuta. Non un attimo di piacere isolato, ma un attimo capace di imprimere un senso, di regalare una prospettiva. Ci sono istanti che non passano, forti e pregnanti al punto da non essere eliminati: sono centri di luce. Nella vita ce ne sono, come i momenti di commozione, o di illuminazione intellettuale, o di riconoscimento del dolore. Ricordate il film La storia del cammello che piange, dove una cammella, per il troppo dolore provato durante il parto, non riconosce il suo piccolo? La musica, il suono di un violino, la fa commuovere e avvicinare al cucciolo, finalmente riconosciuto e accolto? Questo riconoscimento dell'altro ci è necessario anche soltanto a sopravvivere. E a vivere. Due persone che si commuovono, si "muovono con": e per accettare il dolore, a volte basta che un altro lo riconosca. Sono momenti fondamentali nella vita, anche se dolorosi, anche se le persone li fuggono. Questi momenti perfetti, attimi che ci cambiano, sono senza "ego", nel senso buddista: ovvero senza egoismo, ma non senza consapevolezza. Ricordo la prima volta che lessi il verso di Keats: "qualcosa di bello è una gioia per sempre". Avevo 16 anni e rimasi fulminato. Un verso che segna per sempre un amore adolescente o maturo, la gioia di un momento estatico dentro il tempo immobile di un pomeriggio estivo, l'accendersi di una intuizione improvvisa. Passarono molti anni prima che trovassi il mio orientamento ma questa frase, ancora oggi, è il centro della mia vita e del mio pensare. È una frase che, secondo me, racchiude anche il senso tragico dell'esistenza. Mi ha aiutato a riconoscere che in quella bellezza, in quell'attimo, c'è un'esperienza che non posso rinnegare; che resta, indelebile, anche nei momenti in cui sono a pezzi. Una di queste "gioie per sempre" risale ai miei 16 anni. Ero sdraiato su un prato con un amico, in campagna. Guardavamo il cielo, e passava un aereo. Niente di più. Assolutamente semplice. Ma stavamo bene, era un momento perfetto. Keats poi mi tornò in mente in uno dei primi amori, e da lì in poi quello è diventato il mio verso-guida. Ci sono tanti attimi presenti che ci cambiano, ma dobbiamo essere attenti. Spesso, invece, siamo ciechi o paralizzati o inerti, e non ci accorgiamo di nulla. Bisogna aprire la testa, gli occhi, il cuore. Solo in questi attimi presenti possiamo trovare un senso alla vita ed espanderci. Il piacere è un primo senso, ed è fisiologico, semplicemente. Il piacere, negli uomini e negli animali, è una direzione naturale, un semplice fatto etologico. Tutto si complica a causa del fatto, stupendo, che noi umani possiamo posporre il piacere, calcolare il piacere, scambiare il piacere. Ma il primo nucleo di senso universale è: noi cerchiamo il piacere. Ed è un fatto indiscutibile, come una legge della fisica. Bisogna costruire su questo, in modo intelligente, riflettendo. E qualche volta è necessario affrontare il dolore per avere piacere. Dobbiamo educare noi stessi, allenare le virtù, per riuscire a replicare e costruire il piacere nel mondo che inventiamo. Confesso di non essere d'accordo con l'enfasi del "qui e ora", che è diventato il comandamento universale della vita, della psicoterapia, del tempo. Un tempo e una cultura, i nostri, tutti spostati sull'immediatezza. L'attimo per sempre di Keats non è il "qui e ora" che ci viene costantemente propinato, poiché gli esseri umani hanno bisogno di un infinito, di un'eternità in cui trovare un significato per la propria vita. Oggi, purtroppo, questo attimo si sovraccarica di ripetizioni scisse l'una dall'altra. Una specie di schizofrenia seriale di massa. Life is now per comprare un telefonino oggi e un vestito domani. Al contrario, ogni canzonetta d'amore ripete continuamente il desiderio che l'attimo trovi la sua eternità: tu o nessuna mai più, noi per sempre, l'amore infinito eccetera. Cosa significa? Che cerchiamo un attimo che ci dia la luce, un attimo per sempre che meriti di farci vivere. Credo in una vita di attimi se questo attimo è costantemente costruito. Se stiamo cioè nel presente del presente, nel presente del passato e nel presente del futuro. Lo si vede anche nelle pratiche di meditazione, dove ci si sporge sempre sull'orlo di ciò che ci contiene. Bisogna sentirsi "qui e ora" ma dentro un orizzonte: io sono in questo momento. Ma questo momento è il tempo stesso. Fcciamo un esempio: se incontriamo una persona, per una riunione o per una cena, la incontriamo nell'oggi, nel momento, ma la viviamo, ne facciamo esperienza, attraverso e grazie a tutte le esperienze che abbiamo. Quella cena, quella riunione è anche l'incontro delle nostre esperienze, delle nostre biografie, e questo ci fa reagire, capire, accogliere, partecipare in maniera diversa. L'attimo ha senso perché ha una storia. Oggi, invece, nessuno ha più una storia, ed è terribile. Tutti vengono rapiti da una corsa insensata: accumulare esperienze, storie d'amore, storie di sesso, matrimoni, viaggi, case, oggetti, centinaia e migliaia di oggetti. I media e la società manipolano in maniera molto profonda questa esigenza degli esseri umani: in un mondo senza eterno, senza Paradiso, senza Dio, si spingono le persone a un accumulo caotico di esperienze, di cose, di incontri, di emozioni, di attimi. Oggi si dice che una cosa è vecchia per dire che fa schifo. Si dice: un'idea vecchia, un computer vecchio. Vecchio è diventato un giudizio. Ma chi lo ha detto? "Oggi è un buon giorno per morire" è un proverbio dei nativi americani. Un proverbio che spiega perfettamente cosa sia un attimo che ha senso e che contiene il tempo, ovvero che contiene tutti gli altri attimi della vita. Oggi è un buon giorno, dice il proverbio, perché oggi è stata una giornata densa, limpida, serena. Ma è un buon giorno per morire perché ho avuto tanti altri giorni come questo, e sono sazio della vita. È un proverbio opposto al nostro tempo, inquieto e ansioso. Ma come si trova la quiete, oggi che viviamo bombardati di cose e stimoli e immagini, quella quiete del capo indiano? Io credo che la si trovi solo con un lungo e faticoso esercizio. Prendiamo un pianista oppure un atleta. Cosa fanno, e come riescono a farlo in quel modo? Con l'esercizio. La psicoterapia non è altro che un lungo esercizio. E così anche trovare la quiete, dare un senso alla vita. Questo, la filosofia e tutte le religioni antiche lo hanno sempre saputo benissimo. Ma la sapienza un tempo era condivisa. Il capo indiano la esprime con tanta chiarezza perché fa parte della sua cultura, della sua tradizione. Oggi assistiamo invece a un pensiero e un modo di sentire controcorrente. Che cosa ostacola maggiormente la capacità di dare senso alla vita e prendere piacere? L'idolatria delle ose e del denaro. Il fatto che non c'è mai tregua se non abbiamo o viviamo cose diverse. La ricchezza, il potere, la fama: guarda caso, i tre vizi più tipici dell'umanità, e anche le tre tentazioni di Gesù. L'esercizio dell'espansione dell'Io nel cosmo non è una strada solitaria. Da coloro che fanno meditazione a quelli che praticano il tai-chi, tante persone cercano una strada verso la quiete e il senso della vita. In questo caso essere saggi ed essere utili è la stessa cosa. Bisogna intendersi, naturalmente, sulla parola utili: utili a che cosa? Si può essere utili anche a costruire le camere a gas. Ma un saggio che non sia utile a rendere percorribile la vita, a darle un senso che la renda sopportabile, non è saggio abbastanza.
(Testo raccolto da Carlotta Mismetti Capua)


*Romano Madera è professore ordinario di Filosofia Morale e di Pratiche Filosofiche all'Università di Milano Bicocca. Fa parte delle associazioni di psicologia analitica Aipa e Iaap. Ha pubblicato: L'alchimia ribelle (Palomar di Alternative, 1997), C.G.Jung. Biografia e teoria (Bruno Mondadori, 1998); L'animale visionario, (Il Saggiatore, 1999); La filosofia come stile di vita. Introduzione alle pratiche filosofiche, (con Luigi Tarca, Bruno Mondadori, 2003) e Il nudo piacere di vivere. La filosofia come terapia dell'esistenza (Mondadori, 2006). Ha istituito a Milano una scuola di ascolto filosofico e cura (per info: www.scuolaphilo.it/ philo.html). Il corso di formazione superiore in Analisi biografica a orientamento filosofico si rivolge a coloro che desiderano impegnarsi in un modo di vivere filosofico, e ha come obiettivo la cura dell'altro. Romano Madera partecipa a Torino Spiritualità con seminari di cura filosofica.

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