Sui critici, 2lovers, GranTO e chi più ne ha più ne può
Di Carvelli (del 22/04/2009 @ 09:08:50, in diario, linkato 1337 volte)
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COME DIFENDERSI DAI CRITICI CINEMATOGRAFICI Istruzioni e modalità d’uso (di Gran Torino e Two lovers e della funzione del critico) Roberto Carvelli (19/04/2009)
Da quando c’è Maccio Capatonda il comico dei vari Mai dire... che rivisita nell’assurdo il trailer cinematografico mi costa più operazioni di decodifica e più brividi di ilarità l’ascolto degli “appuntamento al cinema”, “coming soon” et similia. Se non conoscete questo geniale comico cercatevelo e ridetevela su YouTube! Leggere il giornale a caccia di consigli per andare al cinema presenta rischi analoghi e senza neppure il filtro ironico del comico di cui dicevo sopra. Avete presente? “Il film dell’anno”, “Il film che ha fatto gridare al capolavoro” (“gridare” sì!), “Il film che ha fatto ridere la Francia” e giù una gragnola di aggettivi in levare: a coppie, a grappoli affiancati da un audace estensore, critico ufficiale di un giornale o il giornale stesso (una selezione di parole che spesso misconosce il tono intero della recensione da cui è tratta). Non può servirvi la misurazione degli ingombri delle locandine nel quotidiano, indice di solito del maggior battage pubblicitario legato alla pellicola e di conseguenza (molto spesso) le cifre del botteghino. Da cui: dovrebbe ritornare in auge la figura del critico cinematografico. Ma forse bisogna adottarne uno più che fare media su tutti. E sempre esercitare il dubbio. Io ho scelto sovente Roberto Escobar (Il Sole 24 Ore della Domenica) con cui mi trovo di frequente in sintonia (ma, esercitando il dubbio, con The Wrestler sarei stato meno indulgente). Mi consta che ci si deve fidare dell’età. Diversamente dal vino, invecchiando spesso il critico peggiora manifestando collusioni con registi che nel frattempo ha conosciuto, prefato, introdotto, presentato. Altro tema di riflessione dovrebbe essere il titolo. I titoli italiani, le traduzioni di quelli stranieri. Nella discrasia tra l’originale e il nuovo – almeno per le lingue di cui possiamo dire – si capisce l’atteggiamento della casa di distribuzione ma anche lì si possono fare belle scoperte dietro inefficaci adattamenti al gusto italiano (c’è chi conosce i nostri gusti!). Dunque come difendersi? Come offrire al consumatore (potrei, come molti altri d’altronde, iscrivermi in questo registro con la media di due-tre film a settimana) un pratico vademecum per fare luce sulle sofisticazioni – perché di sofisticazioni si tratta – che la pubblicità mette in opera? Sarebbe necessaria una specie di patente del critico, un codice a cui deve attenersi, delle semplici regole che vadano nella direzione di un’oggettività per quanto minima che, al di là del gusto, analizzi la corrispondenza del racconto alla storia che vuole narrare, una basilare analisi logica delle immagini, un puntuale esame della grammatica del film e una acuta osservazione dei toni. Nel presente, con spirito civico e senso della responsabilità partigiana invito tutte le persone con cui vengo a contatto a vedere due film che reggono entrambi (non essendo film a lente di ingrandimento o passaparola) la campagna pubblicitaria roboante. Lo faccio anche qui.
1. Gran Torino ennesima prova di equilibrio tra retorica ed emozione di Clint Eastwood che a forza di conferme ripetute si è conquistato un suo piccolo marchio Doc. La sua meditazione sulla violenza – attualissima o, meglio, urgente – continua a sfidare la nostra coscienza appena ora – parlo di quella nostrana – faccia a faccia con il tema immigrazione. Anche questa volta come fu per Mystic river (in un certo senso anche in quella specie di dramma degli equivoci un gesto ingiusto riconsegnava un quartiere alla luce della festa) al male con c’è soluzione ma il sacrificio qui ripara e salva una famiglia pur se il prezzo da pagare è alto. Questo nuovo film di Eastwood è un Gran Film: esuberante di sentimenti positivi ma non sdolcinati, la retorica è dietro la porta e lì rimane.
2. Two lovers un utile ed efficace riflessione sull’amore (saperne!). E due attori in stato di grazia Gwyneth Paltrow e Joaquin Phoenix. L’amore ci gioca dei brutti scherzi: i tragici greci ce lo hanno insegnato con i capricci degli dei e la hubris degli uomini, oggi ce lo dice la nostra imbarazzante volatilità davanti alle tentazioni con il continuo senso di sconfitta e inanità che ci pervade a seguire. Dopo averlo visto ho pensato a un racconto di Cechov La signora col cagnolino e a quello che scrive il grande critico americano Harold Bloom a proposito dello scrittore russo. Bisogna scrivere in modo che al lettore non serva alcuna spiegazione da parte dell’autore: era il credo di Checov e farlo proprio dovrebbe rientrare nell’etica di qualsiasi rappresentazione. In quel racconto un adulterio non è un comandamento infranto e lo scrittore non ci dà l’alleggerimento della morale. Nel film americano succede la stessa cosa: la sola figurazione spiega. Non è necessario fare del cattivo un orco e del buono un fesso (un genere minore in cui è difficile eccellere, il grottesco e il banale, ovvero una caduta di stile) basta raccontare. Ed è vero che uscendo da un racconto del medico russo come dal film Two lovers si finisce per sentirsi migliori (“più semplici, più sinceri, più noi stessi” Bloom cita Gor’kij). Al bello, in definitiva, continuo sempre a preferire l’utile ed è questo che mi aspetto dalla critica.
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