BUONA LA SECONDA. La prima impressione non è quella che conta
di Roberto Carvelli(03/06/2009)
Non è vero che le cose succedono solo la prima volta. Non è vero che il dopo è solo la corruzione del prima. Fatto 1: il trailer del recente film di Marco Bellocchio, Vincere, mostra gli ormai consueti attacchi di isteria a cui ci ha abituati Giovanna Mezzogiorno. Li abbiamo conosciuti con L'ultimo bacio e non ce ne siamo più liberati. Il tutto ha formato de visu un po’ di disappunto. Ora la sentiamo strillare come un’ossessa “Mussolini” e vediamo lui, il dittatore (Filippo Timi), rispondergli con un ghigno grottescamente ridicolo. Guardo il trailer e penso: non andrò mai a vedere questo film: è la prima impressione. Fatto 2: c'era stato un gran parlare del passaggio di una promettente scrittrice napoletana, Valeria Parrella, all’Einaudi. Si era parlato di cifre astronomiche, si era detto di inevitabili successi. All'uscita del suddetto libro, Lo spazio bianco, sono stato assalito, al fianco del contemporaneo tributo di osanna, da una tamburellante campagna denigratoria: il libro è frutto di un editing sin troppo invasivo che le ha strappato la freschezza degli esordi. Uno più uno due: non lo leggerò mai. Questa settimana ho visto il film Vincere e ho completato la lettura de Lo spazio bianco, pur senza averlo acquistato. A dispetto del trailer il film di Marco Bellocchio non è, come temuto, ridondante, eccessivo. Al limite espressionista ma è un colore d'autore che riconosciamo e che amiamo filmicamente in questo regista dall’abbandono degli psicologismi di anni fa. Il film esce con un tempismo (forse non del tutto casuale) a ricordarci i prodromi apparentemente “umani” di una feroce e degradante dittatura. Mai come questa volta Giovanna Mezzogiorno mette al servizio del film il suo carattere. Le righe fra le quali s’immalinconisce o soffre, o strilla o digrigna o si abbandona sono alla equidistanza tra quello che è interpretare e quello che dovrebbe sempre essere verosimigliare (si perdoni il neologismo). Timi è par suo. Ma mi permetto di insistere sull’attrice per rimarcare una riabilitazione, per sottolineare una grazia che le auguriamo di non perdere. Anche il libro di Valeria Parrella - e siamo al Fatto 2 - merita lo stesso bagno di sgravi. E’ la storia ben raccontata di una professoressa di corsi di recupero e per immigrati, primipara, alle prese con un parto difficile (anche per essere frutto di un’unione subito mozza) e prematuro, successivi travagli e attese della vera (ri)nascita della piccola Irene dal plexiglass della neo-placenta all’aria e al biberon. E’ vero che questa volta la scrittura è sincopata, contratta, pensosa (e forse sì il lavorio degli editor ci ticchetta nelle orecchie) ma tutto è al servizio di una storia che tiene dappertutto e ovunque sborda. Le due cose, esserci e disarginare, rappresentano al meglio la condizione umana di chi si avvicina e si allontana, suo malgrado, dalla condizione umana. Che poi, se ci pensate, è La Condizione Umana. La prima impressione non è quella che conta. Fatti N. Così, alla rinfusa. La prima volta che ho visto mia madre e che ho pensato che mai sarebbe morta. Non l’ho pensato, in verità, ne ero certo. Non era un regalo a cui si disponeva la mia generosità, né una forzatura della stima: era così e basta. Di me non ho pensato altrettanto: sarò morto e rinato almeno mille volte e non sempre senza dolore. Temo che andrà avanti così per un po’ e, alla fine, ci ho fatto il callo, anzi mi piace pure. Anche il primo amore non sarebbe finito. Certi politici – un certo politico – prima o poi si sarebbero rivelati per quello che era, a dispetto del “buona la prima” della sua guittezza in onore del nostro immediato avvertimento del male. Pensiamo per giorni, lavoriamo per anni. La vita, a nostro dispetto, agisce per attimi e insieme descrive ere con una facilità di visuale a cui accediamo con sovrastanti difficoltà e non senza essere invasi da una saggezza prospettica che la nostra finitezza umana ci allontana costantemente (davvero un bell’esercizio, il migliore davvero, se si ha la forza di scegliere questo sport così survivor). “Non c’è congruenza” dici? “Non c’è comprensione” pensi? Forse sì. Forse si tratta solo di aspettare. Meglio sarebbe non con le mani in mano e facendo lavorare a tutta forza le nostre capacità. Ma, nel frattempo, è bene ricordarselo, senza fidarsi troppo della prima idea. Questa è la bellezza seconda della vita.
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