L’altro idolo (in senso architettonico) di piazza Duca D’Aosta è il Pirellone. I giapponesi quando lo vedono fanno la ola. A Tokyo c’è di molto meglio. Ma sulla guida turistica giapponese c’è scritto che bisogna fare la ola e loro la fanno quando vedono il Pirellone. Il nome originario è palazzo Pirelli, ma considerato che è molto alto, lo si è sempre chiamato Pirellone. Io ho un amico che si chiama Michelone. Però il suo nome non è Michele, e lui non è particolarmente alto. Si chiama Guido Michelone. Michelone è il cognome vero. Michelone ha scritto tanti libri. Sui Beatles, sui Simpson. Ma non ha mai parlato né di Milano né del Pirellone. Il Pirellone sta lì, sulla sinistra della stazione. È alto 127 metri. Ha dieci ascensori e trenta piani. È l’edificio più alto d’Italia. Il suo nome (palazzo Pirelli, non Pirellone, lo abbiamo già spiegato perché si chiama così) è dovuto al fatto che venne progettato tra il 1955 e il 1960 per sostituire gli uffici della società Pirelli, che stava in via Galvani.
A dire il vero, è bello. Slanciato, imponente. Lo scrittore Bianciardi lo aveva definito “una fiaba in verticale”. Inoltre, il Pirellone è detentore di un importante primato. Durante il fascismo c’era una legge che proibiva di costruire edifici che superassero in altezza la Madonnina del Duomo. La Madonnina è il simbolo della città e non può essere superato. Fa un po’ ridere. Come quando in televisione il presentatore rifiuta al suo fianco vallette più alte di lui, per non fare brutta figura.
La Madonnina è posta all’altezza di 108,5 metri. Il Pirellone la supera quindi di un bel po’. Il cardinale Montini (che diverrà poi papa Paolo VI) decide che la cosa non è affatto bella né rispettosa della Madonna e fa mettere, senza che alla notizia venga dato alcun risalto, un’altra Madonnina in cima al Pirellone. Poi tutti se ne dimenticano e la Madonnina del Pirellone viene riscoperta a metà degli anni Novanta.
Il Pirellone ha fan in tutto il mondo. A lui si sono ispirati, negli Stati Uniti, per progettare il grattacielo Pan Am, uno dei più celebri del mondo. Però, a un primo sguardo, ma anche a un secondo, a chi non è proprio ben addentrato alle vicende dell’architettura e dell’urbanistica sfugge un po’, tutta questa bellezza. Anche se in effetti è bello dicevamo.
Leggo su un manuale di architettura che Ponti (il principale architetto che l’ha progettato) “ha saputo dare alla costruzione insolita eleganza e dinamicità, grazie allo sviluppo su pianta rastremata e non rettangolare come di consueto”. Leggo su un vocabolario che “rastremata” deriva da “rastremare”, detto di “colonne che si restringono verso l’alto”. In effetti, le colonne del Pirellone si restringono appunto verso l’alto, e a questo punto anche un profano nota che grazie a questo accorgimento l’edificio ne acquista in snellezza. Con la vicina stazione Centrale c’entra come i cavoli a merenda.
Da questo punto di vista (per l’affastellamento caotico di stili) Milano sembra spesso una di quelle botteghe di paese dove sullo scaffale delle Barbie trovi le cartucce per le stampanti del computer e i giornali di caccia e pesca, i libri allegati ai giornali quotidiani e le stringhe di liquirizia. Diciamo che c’è una certa confusione, ma è anche il suo fascino.
Attualmente, il Pirellone è sede del consiglio regionale della Lombardia. Ed è recentemente diventato famoso più di quanto non lo era prima per essere stato protagonista di un caso involontario di trash apocalittico, e che coinvolge i drammatici fatti dell’11 settembre 2001.
Ora, per capire bene cosa è successo bisogna avere chiara la nozione di trash, e quale sia il suo aspetto apocalittico. Tommaso Labranca, il filosofo milanese (più esattamente di Pantigliate, alla periferia della metropoli), ci insegna che il trash è “l’emulazione fallita di un modello alto”. Per fare un esempio che a tutti dovrebbe apparire immediatamente famigliare, Little Tony è il trash di Elvis Presley, così come tutte le “creme spalmabili al cioccolato” non sono altro che il trash della Nutella. Nella dimensione apocalittica, le cose funzionano allo stesso modo.
Veniamo all’apocalittico. Dice Jean Baudrillard, il filosofo francese (che di apocalissi se ne intende): “Di eventi mondiali, ne abbiamo avuti tanti, dalla morte di Diana ai Mondiali di calcio – come di eventi violenti e reali, guerre e genocidi. E invece di eventi simbolici di portata mondiale [...] neppure uno. Per tutta la stagnazione degli anni Novanta, abbiamo avuto ‘lo sciopero degli eventi’. Ebbene, quello sciopero è terminato. Gli eventi hanno smesso di scioperare. E ci troviamo di fronte, con gli attentati di New York e del World Trade Center, all’evento assoluto, alla madre di tutti gli eventi, all’evento puro che racchiude in sé tutti gli eventi che non hanno avuto luogo”. Insomma, dice in sintesi Baudrillard, l’11 settembre ci siamo spaventati tutti molto, moltissimo, e quello spavento aveva e ha un valore simbolico, che ancora ci investe ed ha avuto luogo a New York. New York è la città simbolo dell’Occidente. Le Torri Gemelle, oggi fantasmi di un atto folle che ha cambiato per sempre la Terra, nella desolazione di Ground Zero, erano simbolo di quella città. Ma Milano, a suo modo, che era ed è simbolo di un certo Occidente, più europeo, più piccolo, energico efficiente... |