Questioni di lateralità affettuosa
Giorni fa una mia amica mi ha chiesto di interrogarmi sulla particolarità del suo ufficio, degli uffici, del suo open space. Diceva: "Sai, alla fine si finisce per entrare in confidenza più con quelle persone che con i mariti, le mogli, compagni, compagne". Spiegava così delle curiose situazioni affettive, alcune pure adulterine. "Non riesci a immaginare...è come una bolla dentro la quale siamo altro".
Domenica una mia collega (domenica+collega=amica), domenica una mia amica che lavora con me contestava la dizione "collega" e a ragione. Dove inizia la "colleganza" e dove finisce? In effetti ci siamo detti che anche noi - certi noi - hanno creato smisurate (non se ne prendono le misure con facilità) linee di contatto. Difficile immaginare dove potrebbe portare tutto questo. Intanto a un gioco. Uno dice un nome e l'altro risponde: amico, collega, X.
Ieri X mi ha chiamato (ramo non ufficio ma collegato a una omologa smisuratezza di legame - diciamo di fede - che deborda verso una particolare amicizia). Era mezzanotte e dovevo a tutti gli effetti già dormire anche se sul divano, anche se vestito, anche se con un libro in mano. Diceva che aveva fumato, pippato, bevuto. Stava chiaramente fuori. Mi ha detto "non so perché chiamo te". Non lo sapevo neppure io ma i sospetti mi portavano sulla stessa strada di tutto quello su cui mi invitava la mia amica a riflettere anche se X è omosessuale e io no, anche se questa è amicizia e nulla più. Anche se in tutti i casi non è poco.
Che si finisca per essere altro. Che si finisca per volersi bene, in qualche caso per desiderarsi. Che si tenda a decidere che tutto questo abbia un seguito notturno o domenicale. Che tutto questo si leghi all'amicizia o all'amore. Che tutto questo non si riesce a spiegare. Dicevo, non ci piove. E, in effetti, ancora non piove. Ma è nuvolo e sarà bene prepararsi. Pioverà. Prima o poi.
|